martedì 8 febbraio 2011

Gian Piero Reverberi, un po' come George Martin?

Se date un'occhiata al post su Collage de Le Orme, vi accorgerete quanti commenti si siano aggiunti, tanto che è stato innescato un sano dibattito sulla reale e concreta importanza del disco. L'amico John Martin, blogger dell'ottimo John's Classic Rock (punto di riferimento sul progressive italiano...segnatevelo), mi ha dato il La per dedicare uno spazio ad una figura capitale che, al di fuori di qualsiasi riflettore, ha saputo lasciare un'impronta decisiva, almeno per quel che possiamo considerare l'inizio dell'avventura progressive italiana: Gian Piero Reverberi. Proviamo a mettere un po' di ordine con le date: nel 1968 Reverberi crea - di fatto - il primo concept album della discografia nazionale, quel Tutti morimmo a stento di Fabrizio De André. Fu - se vogliamo - la vera risposta tricolore a Days of Future Passed dei Moody Blues (benché sia noto che Reverberi dissenta parzialmente su questo punto...). Sempre nello stesso anno segue i New Trolls di Senza Orario Senza Bandiera: Reverberi sta lì, in cabina di regia, intento a mettere d'accordo le due menti (Nico Di Palo e Vittorio De Scalzi). Nel 1970 Reverberi officia il battesimo della PFM nel corso delle session de La Buona Novella, altra pietra miliare di Fabrizio De André... Quindi arrivarono Le Orme: Collage, Uomo di pezza, Felona e Sorona e Contrappunti, un poker d'assi in cui la saggezza dell'orchestratore ha saputo conferire forma ad un ordito "sinfonico" finalizzato all'organico del gruppo rock. Quindi ci sono stati i Duello Madre, ovvero quella variante di percorso attivata da Marco Zoccheddu e Bob Callero al tramonto degli Osage Tribe. In sintesi si può affermare che Gian Piero Reverberi abbia offerto un imprescindibile valore aggiunto ad un genere (il progressive) che in Italia stava ancora emergendo , mostrando quella linea di confluenza tra rock e classica. Un po' come aveva fatto George Martin con i Beatles negli studi di Abbey Road.

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