Consacrazione nell'Olimpo del pop e sorta di monumento mainstream a vita? Ricordo quell'86. Giovane diciottenne che ripercorrevo strade a ritroso e non mi schiodavo nostalgicamente da The musical box e affini, provai sdegno quando mi accorsi che le mie compagne di liceo danzavano al suono di Peter Gabriel. Più che altro perché molte di loro ignoravano che Peter Gabriel fosse stato il vocalist dei Genesis. Inoltre, vabbe', anche il brano stesso mi lasciava piuttosro interdetto.
Poi, per fortuna, si cresce e si cambia (sarà un pregio o un difetto?), fatto sta che, ad oggi, So resta un album di Gabriel che riascolto sempre con un piacere - oserei dire... - gustativo. Perché? Ma perché in 9 tracce si trova quanto di più intelligente si sia prodotto negli anni Ottanta in termini di melodia (Red rain), di ritmo (Sledgehammer e Big time), di intimismo lirico "civile" (Don't give up in coppia con Kate Bush), di poesia rock (i testi di That voice again, In your eyes e Mercy street sono riconducibili ad alcune opere di Anne Sexton) e di sperimentalismo sonoro (We do what we’re told (Milgram’s 37) e This is the picture (excellent birds) scritta con Laurie Anderson). Una pietra miliare di un decennio spesso troppo sottovalutato (ma poi, questi Anni Ottanta - con Zappa, King Crimson, David Sylvian, Franco Battiato, Ivano Fossati, Fabrizio De André, Level 42, Iron Maiden... Peter Gabriel - sono così da buttare via?). So è uscito con TV Sorrisi e Canzoni e Il Corriere della Sera lo scorso 20 aprile.
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