Inutile girarci intorno. I
Genesis dal vivo sono sempre una storia a sé. Pensiamo a quell’elogio
dell’imperfezione che fu Genesis Live
del ’73 oppure quella ricerca della perfezione che è stato Seconds Out. Lì si sente – nel bene e nel male – la forza e la forma
del collettivo.
Ammetto che ho sempre guardato,
invece, Three Sides Live con una
certa diffidenza. E mi sbagliavo. Frutto dei soliti pregiudizi in direzione di Abacab e dintorni. Invece, anche in
questo caso, i Genesis non si smentiscono. L’attacco di Turn It On Again ammalia e avvince proprio per la sua potenza live,
idem dicasi per tutti gli altri compagnucci di Duke. Confesso che pure - la mai non troppo vituperata - Abacab assume un fascino inatteso,
imprevedibile, probabilmente corroborato da alcuni felici spazi di inserti
improvvisativi. E lì che riemerge sempre – più genuino che mai – lo spirito
Genesis.
L’amarcord anni Settanta non è
male, ma, senza Gabriel e senza Hackett, brani come In the Cage, Watcher of the
Skies e The Fountain of Salmacis si
fissano alla stregua di un onesto tentativo di decente calligrafia dal vivo ma
nulla più. Detto tra noi (con il senno di poi), certe tribute band - qualche
lustro più tardi - sapranno fare di meglio… Collins val bene la melodia: lì è
un maestro da Afterglow in poi, ma,
per il resto, manca di quella vocalità teatrale che solo Gabriel è riuscito ad
esprimere con naturalezza. Mi vengono in mente alcune sfumature timbriche di The Fountain of Salmacis e di In the Cage: la differenza tra Gabriel e
Collins si chiama “studiata spontaneità”. Collins fa quello che può e,
talvolta, sfiora l’artificio. Ci sta e, al limite, si lascia pure apprezzare,
ma è proprio un’altra storia.
© Riccardo Storti
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