domenica 29 aprile 2018

SLIVOVITZ - "LiveR" (Moonjune, 2018)


Seguo i campani Slivovitz da quando mossero i primi passi con l'eccentrico omonimo del 2006 e ne ho gustato fin qui le apprezzabili evoluzioni del loro sound che, partito da una matrice ethno-zappiana, sembra ormai approdato nell'alveo sicuro di un jazz rock padroneggiato con cura e esperienza.
In fondo, questo loro ultimo LiveR (Moonjune, 2018), registrato dal vivo alla Casa di Alex di Milano, vuole essere qualcosa di più di un bilancio di carriera: una verifica live di alcuni loro portentosi brani, tratti dalla loro discografia in studi e utilizzati come veri e propri parchi di improvvisazione con aperture a giochi solistici e a dialoghi alla pari, tra le varie categorie degli strumenti.
La tavolozza degli Slivovitz resta sempre sgargiante anche durante le session performative: una sezione ritmica alla Area (il basso di Vincenzo Lamagna e la batteria di Salvatore Rainone); la chitarra di Marcello Giannini si avvale di un tocco alla Mike Stern ma con adeguate e calcolate sbavature distorsive dalla memoria hard; il violino elettrico di Riccardo Villa, l'armonica di Derek Di Pierri con i fiati di Ciro Riccardi (tromba) e di Piero Santangelo (sax tenore) completano un quadro dalle tinte caleidoscopiche.
Nel funky sono veramente irresistibili: l'attacco dell'opener Mai per comando rimanda ai Napoli Centrale e al possibile spin-off di Senese con Zurzolo e De Piscopo alla corte di Pino Daniele (capita l'antifona?) mentre Currywürst si avvale di una lunga frase (altro riff) dall'eccellente scrittura fiatistica tra Average White Band e Chicago, con una buona dose di passaggi irrispettosi dell'armonia, vicini al Prince più zappeggiante; di alto livello anche Mani in faccia, una sintesi che riesce a mettere d'accordo i Mister Bungle con gli Area e la Mahavishnu Orchestra (Giannini sulle orme di McLaughlin)
Per i ritorni di fiamma balcan-mediterranei, valgano i tortuosi itinerari melodici di Cleopatra Through (dove va messa in evidenza la notevole cadenza violinistica di Riccardo Villa: il tocco mi ha ricordato il Pagani dei tempi d'oro) ed Egiziaca (sbalzi metrici, sospensioni davisiane - grazie alla tromba di Rainone - e chiusa blues dell'armonicista Di Pierri).  
Il lato più prog della band può essere scorto in Caldobagno, dove, comunque, l'appeal jazzistico resta inconfondibile nonché indelebile nel DNA dell'intera produzione.
E per non farsi mancare proprio nulla, gli Slivovitz si cimentano pure con una destabilizzante ritrattazione di Negative Creep dei Nirvana: in principio era il rumore, a cui si uniscono confusi barriti di sax e spifferi di tromba in un disegno che fonde Zappa, il free jazz e la musica contemporanea.
Un live, insomma, che fulmina l'ascoltatore per brillantezza e bravura e che pone l'accento tonico (e tonificante) su una delle esperienze jazz-rock underground nate nel nostro Bel Paese. (Riccardo Storti)

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