Seguo i campani Slivovitz da quando mossero i primi passi con l'eccentrico
omonimo del 2006 e ne ho gustato fin qui le apprezzabili evoluzioni del loro
sound che, partito da una matrice ethno-zappiana, sembra ormai approdato
nell'alveo sicuro di un jazz rock padroneggiato con cura e esperienza.
In fondo, questo loro ultimo LiveR
(Moonjune, 2018), registrato dal vivo alla Casa di Alex di Milano, vuole essere
qualcosa di più di un bilancio di carriera: una verifica live di alcuni loro
portentosi brani, tratti dalla loro discografia in studi e utilizzati come veri
e propri parchi di improvvisazione con aperture a giochi solistici e a dialoghi
alla pari, tra le varie categorie degli strumenti.
La tavolozza degli Slivovitz resta sempre sgargiante anche durante le
session performative: una sezione ritmica alla Area (il basso di Vincenzo
Lamagna e la batteria di Salvatore Rainone); la chitarra di Marcello Giannini
si avvale di un tocco alla Mike Stern ma con adeguate e calcolate sbavature
distorsive dalla memoria hard; il violino elettrico di Riccardo Villa,
l'armonica di Derek Di Pierri con i fiati di Ciro Riccardi (tromba) e di Piero
Santangelo (sax tenore) completano un quadro dalle tinte caleidoscopiche.
Nel funky sono veramente irresistibili: l'attacco dell'opener Mai per comando rimanda ai Napoli
Centrale e al possibile spin-off di Senese con Zurzolo e De Piscopo alla corte
di Pino Daniele (capita l'antifona?) mentre Currywürst si avvale di una lunga frase (altro riff)
dall'eccellente scrittura fiatistica tra Average White Band e Chicago, con una
buona dose di passaggi irrispettosi dell'armonia, vicini al Prince più
zappeggiante; di alto livello anche Mani
in faccia, una sintesi che riesce a mettere d'accordo i Mister Bungle con
gli Area e la Mahavishnu Orchestra (Giannini sulle orme di McLaughlin)
Per i ritorni di fiamma balcan-mediterranei, valgano i tortuosi itinerari
melodici di Cleopatra Through (dove
va messa in evidenza la notevole cadenza violinistica di Riccardo Villa: il
tocco mi ha ricordato il Pagani dei tempi d'oro) ed Egiziaca (sbalzi metrici, sospensioni davisiane - grazie alla
tromba di Rainone - e chiusa blues dell'armonicista Di Pierri).
Il lato più prog della band può essere scorto in Caldobagno, dove, comunque, l'appeal jazzistico resta
inconfondibile nonché indelebile nel DNA dell'intera produzione.
E per non farsi mancare proprio nulla, gli Slivovitz si cimentano pure con
una destabilizzante ritrattazione di Negative
Creep dei Nirvana: in principio era il rumore, a cui si uniscono confusi
barriti di sax e spifferi di tromba in un disegno che fonde Zappa, il free jazz
e la musica contemporanea.
Un live, insomma, che fulmina l'ascoltatore per brillantezza e bravura e
che pone l'accento tonico (e tonificante) su una delle esperienze jazz-rock
underground nate nel nostro Bel Paese. (Riccardo Storti)
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