Ma chi sono? Mike and the Mechanics? I Genesis, rimasti in 2 (Banks e Rutherford), più un giovane singer dal timbro delicato e, al tempo stesso, graffiante (lo scozzese
Ray Wilson).
Calling all stations (1997) mostra assodati esiti pop a 360° ma con un calo creativo tale da ripercuotersi, inevitabilmente, sulla qualità delle composizioni. Prendiamo l'ultimo arrivato: ha grinta, è dotato di una grana vocale invidiabile, però non sfruttata al meglio dalla produzione. E poi, diciamocelo, sarà anche in gamba, ma è avulso, alieno alla prospettiva genesisiana. Collins manca: per quanto discutibili (e sciagurate) possano essere state le sue indicazioni "pop", almeno continuava a dare forma al suono percussivo. Qui la batteria è trascurata: fredda, piatta, monocorde, a tratti "automatica" (con un'eccezione per
The Dividing Line, dove, però, talvolta, il troppo stroppia).
Dal naufragio si salvano alcune ballad, se non altro per un discreto afflato melodico: Not about us è un buon esempio di pop, memore di alcuni felici episodi di fine anni Settanta; If That's What You Need trasmette quasi una vaga illusione gabrieliana... o meglio, ci chiediamo come l'avrebbe potuta cantare Gabriel. Oggi.
Quel che manca a Calling All Stations ha un nome ben preciso: personalità. Nonostante i Genesis riescano a stare al passo con i tempi, ahimé, alla fine, questo passo si è rivelato falso e anonimo. Peccato, perché potenzialmente... Cosa diceva di noi, talvolta, la nostra prof. esigente? "E' bravo ma non si applica". © Riccardo Storti
un bruttissimo disco...
RispondiEliminaCaro amico anonimo... concordo...
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