Per questo Layers of stratosphere accompagna l'ascoltatore in un percorso piacevole di sensazioni uditive: talune imbeccate di The dark side of the moon o di Animals sono ormai diventati marcatori compositivi dotati di struttura variabile. Un po' come succedeva nella musica classica qualche secolo fa... E qui si sente, ma non (più) in maniera epigonica.
Ma Santanna non rinuncia a stimoli extrafloydiani: nella long track Lies in the sand - vera e propria suite -, nel momento in cui parte il piano elettrico, siamo straniati da un incipit alla Battisti mid-70's (ma cantato in inglese). Il chitarrista gilmouriano si traveste da Latimer in First layer, regalandoci melodie degne dei Camel più ispirati. Quasi Genesis, invece, tra le volute modulanti di Mind flies.
L'album prosegue lentamente (proprio) per lasciarsi apprezzare tra echi malinconici alla The final cut (The highest Cliff), variazioni su Eye in the sky (Second layer, ma un'altra raffinatezza parsonsiana si era già colta nell'orientamento elettronico dell'opener Door almost closed) e un gran finale sinfonico, nonché "shining" (Lullabye for a son).
© Riccardo Storti
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