L'incontro tra Edmondo Romano e Alessandro Serri è stato significativo
per l'evoluzione del progressive rock genovese. Entrambi, verso la prima metà
degli anni Ottanta (ragazzini... ), avevano fondato gli Eris Pluvia che, nel 1992, abbandonarono per dare vita ad una nuova
particolarissima esperienza, gli Ancient
Veil insieme a Fabio Serri, fratello di Alessandro; tre anni dopo, per la
label Musea, fanno uscire il primo album omonimo.
Questa particolare storia, poi, si perde un po'. La carriera di Romano è nota ai più, quella dei due Serri pare un po'
più sottotraccia, ma sempre ricca di fermenti e attività di ogni tipo. Ora, il
trio si è ricompattato perché quelle idee musicali di un tempo sembrano avere
ottenuto una concretezza nel presente, tanto che domani, lunedì 16 gennaio,
uscirà il nuovo CD I am changing, pubblicato da Lizard.
L'amore per il panneggio acustico dà il giusto tempo ad iniezioni
elettriche di caratura raffinata. I fiati di Romano, l'ecletticità del
composer-vocalist e polistrumentista Alessandro Serri (un abile chitarrista con
una mano tastieristica niente male) e la variabilità coloristica tra piano,
moog, organo e sintetizzatori di Fabio Serri: questa la ricca tavola
preparatoria, aperta all'inserimento di voci amiche che hanno reso questo disco
estremamente piacevole (quanti nomi, cito a braccio il pianista Massimo De Stefano, il violoncellista Stefano Cabrera, il chitarrista Mauro Montobbio, il violista/violinista
di Roberto Piga, il batterista Daviano Rotella).
L'attacco di Bright Autumn Dawn mette
subito in risalto una scrittura di Hammond vicina alle prime Orme, eppure, appena irrompe la
chitarra con il distorsore, siamo già in aura rock tra Jethro Tull e Kansas.
Chiari e scuri in mezzo a dinamiche cangianti con ricordi di Genesis, PFM, interludi cameristici su lucertole crimsoniane. I King Crimson, eh sì... portano Serri a
scaldare l'ugola per una ballata (If I
only knew) ricollegabile a quell'universo (il sound "narrow"
della chitarra fa pure impressione): melodia e carattere contrappuntistico non
sono giochetti, eppure la compagnia si diverte. Il velo antico arriva con I am changing: profilo rinascimentale che sale sulle spalle del
gigante buono per vedere se da lassù si possa vedere Canterbury o le ochette di
Anthony Phillips (ma anche quelle
dei Camel, volendo) su un 7/4
discreto, quasi signorile (sì, perché qui non c'è nessuna dimostrazione di
originalità a tutti i costi. Semplicemente buona musica). Clima sereno, riposato
e riposante anche in Only They're broken,
agitata qua e là da qualche modulazione genesisiana, capace di dikuirsi in
tessiture raffinate, come quelle che ascoltavamo in un paio di dischi della
Windham Hill.
You will see me è un'apoteosi prog in piena regola (ha un
"prima" e un "dopo" con Intro
e Finale): tinte cupe su passo
blueseggiante (qualcosa del Banco di
Interno città?), poi, piano piano, le
figure ossessive modificano la propria fisionomia e lasciano emergere un canto
a più voci in uno sviluppo irto di dissonanze controllate (come se gli Henry Cow si fossero dati una calmata).
Tempi irregolari che tornano secondo l'assodata tradizione in Fading Light o metrature dal sapore folk
(6/4) che irrompono per dare vita alla musica (The Fly). Il disco scorre e corre lungo vie canterburiane per
perdersi in una danza antica suonata dal flauto dolce e subito trasformata in un
momento sinfonico (Chimes of Times). Chiusura
nel segno di un'atmosfera dolcemente crimsoniana: A Mountain of Dust si riallaccia al clima della title track che,
però, viene declinato per mezzo di un tempo ternario dall'andamento coreutico
e, al tempo stesso, in bilico tra musica celtico-mediterranea e repertorio
antico.
I am changing si presenta alla stregua di un ritorno ma nella
novità, pur recuperando "quel" suono particolare che contraddistinse gli
Ancient Veil dei primordi. Un progressive per niente "neo", come
siamo abituati a recepirlo ormai da qualche decennio. Ci sono radici di affetti
storici ma anche tanta voglia di
sforare in altri generi. Il velo antico, in realtà, è uno stargate nel
presente.
© Riccardo Storti
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