Dipinto di David Hart |
Talvolta, certe occasioni di
approfondimento, non vanno lasciate lì, ma devono essere colte, anche per
rovesciare il luogo comune, secondo cui, tutto quel che transita sul web,
galleggia.
Certo: un articolo continua a
galleggiare fino a quando non si "risponde" per fare crescere i
concetti sviluppati in esso. È il bello del 2.0 che, mai, potrà essere generato
dalla lentezza del cartaceo. Ma la lentezza merita sempre e comunque un elogio,
proprio quando la "velocità" diventa un imperativo tonante per non
rimanere indietro.
La velocità, come quella dei
motoscafi che scorrazzano sulle onde. In superficie, appunto; ma quante volte
ci siamo chiesti: "com'è profondo il mare"?
Divago con la penna, anzi, no: sulla
tastiera. Ma divago con la voglia di arrivare al punto.
Nel 2.0 purtroppo l'immediatezza
fa compiere troppi errori in quanto si crede di scrivere, ma, in realtà, si
parla. Perché? Ma perché spesso lo si fa da smartphone, sui social, tra maldestri
tentativi multitasking più degni di un millenial che non di "persona di una
certa età". E molti di noi (io per primo, prossimo al mezzo secolo) siamo
inadeguati; visto che sorvegliamo poco la nostra lingua che, quando è scritta,
dovrebbe essere dotata - prima di tutto - di una consapevolezza espositiva
controllata. Aggiungo e preciso: consapevolezza espressiva (più o meno)
controllata.
Fabio Zuffanti, in un intervento
uscito oggi sul suo blog (Della fine della critica musicale. (e della suarinascita?)), lamenta la necessità di una "sana critica"
musicale, capace di svincolarsi dalla pessima abitudine di recensire in base ai
condizionamenti del momento. Perché, Fabio, in una cosa, ha ragione: è raro
imbattersi in recensioni costruttivamente negative; sovente manca quella figura
"che indichi in maniera scrupolosa dove sta il bello e si permetta, senza
timore di dire cose scomode, di sviscerare in maniera costruttiva le pecche di
un album o di un genere dovrebbe essere imprescindibile." In sostanza, manca
il critico, ovvero quel soggetto comunicativo capace di " di guidare i
fruitori (il pubblico) nelle scelte grazie alla cultura acquisita nel campo e
alle analisi serie, puntali e dettagliate."
Soprattutto in generi di nicchia,
tra critico e compositore c'è quella stima reciproca che, però, talvolta
rischia di trasformarsi in una complicità (sia bene chiaro: sana e
disinteressata) che, alla fine, riduce quella necessaria equidistanza "ermeneutica",
finalizzata ad avvicinare qualsiasi recensione, appunto, ad una presunta
oggettività.
Eppure l'intelligenza non
dovrebbe ammettere equivoci; invece l'equivoco prende il sopravvento perché,
sotto sotto, si è anche un po' amici, un po' spiace, forse è meglio se certe
cose gliele dico in privato, etc. etc. Ma la critica va a farsi friggere e si
va avanti a suon di mutui piaceri.
E vogliamo aggiungere il peso
della pigrizia? L'essere influenzati a priori in quanto "conosco la sua
produzione dal primo disco", quindi l'ultimo disco non è altro che il
frutto di un corollario artistico già (da me, critico) predestinato? E chi
sono? Dio? Tutti rischi del "mestiere".
Quale potrebbe essere una
soluzione possibile. Fabio propone un ritorno all'antico, una pubblicazione
cartacea: "...la rivista che ho in mente non dovrebbe assolutamente avere
un sito internet o una casella email. Internet dovrebbe essere lasciato fuori
da questo progetto, così come i social network. Si dovrebbe basare tutto sul
passaparola e sulla voglia di andare in edicola a comprarla. Lettere di elogio
o protesta? Potranno essere inviate alla redazione e scritte a mano, altrimenti
saranno cestinate. Nessuno dovrebbe permettersi di fare discussioni infinite
sui social distruggendo il giornale a suon di “rosiconi”. Poi magari lo si
farebbe lo stesso ma il giornale e i suoi recensori dovrebbero essere obbligati
a star fuori da questo assurdo e cieco gioco al massacro."
E, tutto sommato, è una soluzione
di buon senso, anche se l'ostracismo del web potrebbe essere agevolmente
scongiurato, se ritornassero in auge meccanismi di moderazione. D'altra parte
che cosa è una redazione, quali scopi ha? Filtrare quanto giunge e correggerlo
all'interno di una linea editoriale. Tale prassi non la si confonda con la
censura, anche perché l'autorevolezza, non tanto di una singola penna, ma di un
pool di penne (valide e oneste intelettualmente), cresce proprio in base alla
fedeltà con la linea editoriale.
Ciò non potrebbe esistere sul
web, attraverso lo strumento del blog? Certo, la moderazione redazionale richiede
un lavoro di squadra e di affiatamento non indifferente, ma anche
"teste" che abbiano ben chiaro fino in fondo quale sia il compito del
loro lavoro. Insomma, alla base si richiede un'intenzione programmatica che non
si limita e non si esaurisce nel puro (e semplice) fatto di recensire.
Senza dimenticare che, quando si
scrive di musica, sia fondamentale sapere bene quali siano i cardini di quel
linguaggio espressivo, la sua storia e la sua evoluzione. Bisogna studiare
(sempre) e avere studiato (prima). Non è da tutti. Non è per tutti. Questa è la
linea di separazione che distingue il critico musicale dal puro, semplice e
onesto appassionato di musica. Non si può essere fan con la penna in mano: se
vuoi scrivere di musica, poco conta se sai tutto sui King Crimson (che ami alla
follia), ma non conosci Robert Glasper.
Il cartaceo, altra questione.
Idea bellissima, ma se parliamo di carta, parliamo di un "materiale"
che costa, perché dietro ci sono la stampa e la diffusione. E qui ci vogliono i
denari e chi abbia voglia (nonché sensibilità) di investire, perché la prima
domanda che, oggi, l'anfitrione si pone non riguarda tanto la qualità del
pubblico, quanto la fetta di mercato.
Non mi pare sia tempo di editori illuminati (e illuminanti). Decenni fa,
quando il soldo pubblico raggiungeva il mondo dell'istruzione e della
formazione, magari, una rivista aveva la funzione di illustrare i risultati di
un progetto ben preciso all'interno di un percorso didattico. Quante erano le
riviste universitarie o parauniversitarie foraggiate da illustri case editrici.
Ma oggi? Inoltre - è vero - il far west grafomaniaco del web ha contribuito a
confondere di più le acque, ormai intorbiditesi a tal punto che quasi nessuno
si pone più quella domanda: "com'è profondo il mare."
(Riccardo Storti)
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