sabato 30 giugno 2018

SVISE DI PENNA - "Pipes of Peace" di Paul McCartney (1983)

Occhio alle svise di penna: non sono proprio recensioni ma appunti riportati quasi integralmente dai miei taccuini, su cui segno quel che mi passa per la mente mentre ascolto (anzi RIascolto) un disco. Ve ne proporrò un po'. Inizio con Paul McCartney. Grazie per la consueta affettuosa lettura.

Se penso che questo LP uscì proprio nel giorno del mio quindicesimo compleanno. Uno di quegli album adolescenziali. Riascoltarlo oggi rimixato richiede (il prefisso "ri" mi fa sentire vecchio) al mio udito una particolarissima attenzione.
Ingredienti della ricetta (ci sono sempre stati): i tabla della title track, le rotondità del Fender Rhodes di Say Say Say, il synthbass (molto Human League) nelle bipolarità di The Other Me (con i tamburi lontani di Goodnight Tonight), gli staccati di archi barocchi sul basso discomusic in Keep Under Cover, le precisazioni terzinate di Ringo sui tom in So Bad, il fuzz raffazzonato e grezzo della chitarra di This is the Man (e l'uomo è proprio quello), le acustiche mosse post-beatlesiane (c'è Blackbird che gira) di Sweetest Little Town, le corse di Average Person (sconvolgo qualcuno se confesso che sembra una canzone di Jannacci?). 
Mi fermo e prendo un lungo respiro perché nel pleonastico riempitivo di Hey Hey assisto al perfetto intervento di chirurgia estetica del basso a scala corta di Stanley Clarke sul viso deturpato di un ipotetico fashion rocker alla moda. Siamo quasi ormai  alla fine: un'ultima appendice funky-pellerossa per Tug of Peace e congedo ad affetto con tanto di grande orchestra: Through Our Love sale in cattedra e i vertici dell'inizio e della fine si toccano; ma qui la melodia vola e fa volare, con un ritornello da pelle d'oca. Il segno del Macca che colpisce ad occhi chiusi il bersaglio e noi che ci lasciamo andare ad occhi chiusi dentro un sogno musicale di elevata qualità. (Riccardo Storti)    

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