Da tempo immemorabile apprezzo quel restauratore di vintage
che è Lenny Kravitz.
L’altra sera, su Radio 105, tra
il primo e il secondo tempo di Germania-Svezia, in attesa che i Gialappi
dessero il loro avvio alla ripresa, l’emittente trasmette un singolo bello
spesso: è soul di classe, di alta classe. Lo ammetto: ascolto poco i circuiti
FM, so poco della “musica contemporanea” (che mi butta giù) e faccio male.
Brutto vizio quello di rimanere sulla frontiera sempre chiusi nella garitta,
eppure manifestarsi (a parole?) aperti ad ogni suono.
C’è di bello, però, che comunque
il mio orecchio ascolta e decodifica, innesca link mentali a librerie musicali
coltivate fin dall’infanzia.
Allora, mi metto a seguire questo
incipit dominato da una convincente batteria e da una voce black, capace di
stappare qualsiasi ostruzione pregiudiziale. Poi, nel ritornello, parte un basso
pompante, un accordo medio-grave di pianoforte con una patina di riverbero, la
chitarrina funky (che non manca mai) e, soprattutto, un morbido coro mid-70’s
come si poteva ascoltare in qualche passaggio easy listening dei Jackson Five
(c'è pure un urlettino alla Michael). Si riprende e si colora di più: il basso
slappa con moderazione e la chitarra si gode l'eco. Sul finale tastiere che
mimano sezioni fiatistiche come nei dischi di Paul McCartney anni Ottanta. È una canzone pop con
tutti gli annessi e connessi, senza fronzoli, calibrata sul piano della
comunicazione melodica e nelle intenzioni ritmiche. La postproduzione è assai
levigata, i suoni pulitissimi.
La speaker annuncia solo che si
tratta di Lenny Kravitz, ma non precisa alcun titolo, perché, probabilmente, è
già un tormentone o, almeno, la canzone che gira intorno da un bel po'.
Mi documento: trattasi di Low, secondo “singolo” d'anticipo (dopo It's Enough), in attesa che esca il
nuovo CD Raise Vibration, programmato
per ottobre. Scopro, inoltre, che nel brano sono presenti dei guest vocalist
che, illo tempore, parteciparono a diverse sessioni di registrazione per album
di Michael Jackson. Fatto 30, facciamo 31 e via su Youtube per il video: un mix
di Super8 di ben oltre 40 anni fa che riportano scene di vita quotidiana
dell’America Nera tra happening in un parco, vasche tra vie metropolitane,
feste in famiglia ed vari episodi ricreativi, il tutto accomunato da una
colonna sonora che non è solo il brano di Kravitz, ma la presumibile musica che
si balla e si suona in quei filmini muti.
Il restauro di un immaginario
culturale è riuscito, d’altra parte Kravitz ne è un maestro. (Riccardo Storti)
Il video di Low
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