Oggi vi parlo di una indie band svedese, gli Easy, e di un album “ritrovato”
e ristampato dall’entusiastica label tedesca A Turntable Friend Records, così
attiva nel riportare alla luce scampoli di recente passato, ma sensibile a
coltivare talenti nell’ambito del pop alternativo.
La Svezia non è solo la terra degli Abba o dei Roxette; il prog anni
Settanta, ad esempio, ci ha fatto conoscere gli ottimi Solar Plexus, i Kaipa e,
ancora oggi, non ci possiamo lamentare quando citiamo il “senatore” Roine Stolt
e gli Isildurs Bane. Ma andiamo al nocciolo.
Fine anni Ottanta: giovani musicisti, seminati tra Jönköping (mamma mia… la
città di Agnetha Fältskog, la bionda cantante degli Abba) e Göteborg, si
incontrano. L’idea è quella di proporre qualcosa che sia alternativo e
orecchiabile, che metta d’accordo le ruvidezze sperimentali noise con l’armonia
proveniente dalla neopsichedelia e, ancora più indietro nel tempo, dal rock
degli anni Sessanta. Il nome “Top TV Crisis” vuole già comunicare qualcosa:
passano alla radio e si fanno conoscere, vincendo pure un concorso per
emergenti.
Il loro demo arriva alla label indipendente britannica Blast First: chi sta
al vertice dell’etichetta (Paul Smith) non ha dubbi e mette sotto contratto i
ragazzi, che muteranno il nome della band in Easy, e pubblicheranno il primo
album, Magic Seed, definito dallo
stesso producer come una perfetta
combinazione tra l’intensità post-punk dei Sonic Youth e le armonie dei Beach
Boys. Un buon successo, tanto che il singolo He Brings The Honey entra nella top list britannica del 1990:
secondo alcuni, era dai tempi di Evol, disco cult dei Sonic Youth del
1986, che non si notava da parte di un prodotto underground un’apparizione così
netta fuori dalla nicchia.
Come si è accennato, recentemente questo lavoro è stato ripubblicato e
rimasterizzato dalla Turntable Friend Records con l’aggiunta di 6 bonus track
di inediti scritti tra il 1989 e il 1990.
Gli Easy sono in sostanza chitarre, basso, batteria e voce con qualche
coretto. Li ricordo quei gruppetti, anche dalle nostre parti, all’inizio degli
anni Novanta, su un crinale sfumato, incerto, ambiguo. Si voleva proporre
qualcosa di “diverso” e dietro avevamo la New Wave e il Punk, ma, ancora prima,
la psichedelia e il beat. Gli anni Settanta, sì, ma quelli degli Who o, per
converso, dei Van Der Graaf Generator.
Cugini dei Jesus and Mary Chain, fratelli minori dei Sex Pistols e figli
dei Beatles e dei Kinks.
Questa è l’aria che si respira nell’esordio degli Easy. Una nota sul
cantante (nonché songwriter) Johan Halmlund: voce giusta per il mood richiesto;
mi ha ricordato, nel passo un po’ shoegazing, soprattutto il Bobby Gillespie
dei primi Primal Scream.
L’attacco di Castle Train ci
porta subito al centro del loro discorso musicale: ritmica post-punk, riff
chitarristico rock, cori sixties deteriorati e trama melodica lineare. Ci
siamo. È
proprio lì la chiave, tra l’aggressività punk, i ritornelli orecchiabili e gli
arpeggi di chitarra che squadernano mondi di riverberante piacevolezza sonora
(icastiche in tal senso He Brings the
Honey, Cloud Chamber, On a Sunny Day). Qua e là si avvertono
tangenze anche con altre realtà dell’epoca tra cui gli U2 sperimentatori di
suoni (i delay di chitarra all’inizio di Dam-Sugar
e quelli in Between John & Yoko),
i My Bloody Valentine più rumoristi (Pleasure
Cruise), i Primal Scream (la title track, pulitissima e senza distorsioni)
e gli Smiths (Horoscope).
Le bonus track sono l’ideale appendice preposta a confermare il range
espressivo della band: cori sixties e chitarre noise (Apples for You), corse melodiche su ritmi incalzanti (Flaming V), ballate elettriche (Number 25), riff’n’drums (Snake Charmer) e anticipazioni dream pop
(il demo di Come Find the Horses).
Efficacissimo il remix di Horoscope.
La prossima settimana vi
parlerò di A Heartbeat from Eternity,
uscito nel 2017: nel frattempo, ne è passata di acqua sotto i ponti di Jönköping
(ah… ho scoperto che Agnetha era stata la babysitter del piccolo Johan
Halmlund).
(Riccardo Storti)
Il videoclip di Cloud Chamber è un assemblaggio di riprese curate da Henrik Georgsson, nome sicuramente conosciuto agli appassionati della serie
svedese-danese The Bridge, visto che ne ha
diretto diversi episodi.
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