Tullio De Piscopo posa le
bacchette e prende la penna per raccontarsi, ma il ritmo non cambia. Questa la
sensazione che si riceve, pagina dopo pagina, leggendo Tempo! La mia vita (Hoepli, 2014), l’autobiografia
del batterista e compositore partenopeo. Una prosa diretta, scoppiettante,
vivace, talvolta, non scevra di qualche tentazione retorica (ma sempre verace e
spontanea), però sempre al passo con il desiderio di narrare una vita dietro
alla batteria. Eppure, tra un aneddoto e l’altro, non mancano profonde
riflessioni sull’esistenza e sullo scopo della vita, quasi a dovere
tratteggiare un ritratto integrale, un po’ come se De Piscopo volesse vedersi
da fuori.
Certo, lui racconta tutto: gli
inizi durissimi, il percorso di “mestiere” in direzione dell’affermazione
personale, le jam memorabili; non mancano squarci di vita familiare,
tratteggiati con una cura affettuosa ed emotiva e che, per forza di cuore,
toccano anche amici fraterni come l’indimenticato Pino Daniele.
Particolarmente intrigante la
parte in cui emerge il De Piscopo musicista di successo. Ricordo che quando
negli anni Ottanta lo vedemmo in auge sulla ribalta pop con le hit Stop Bajon e Andamento lento, storcemmo il naso, come se il nostro eroe avesse
tradito se stesso e la storia del jazz italiano, di cui era (ed è) un
protagonista di eccellenza. Oggi, leggendo quanto scrive, ci accorgiamo che
anche quello è stato – a suo modo – un degnissimo canale di sperimentazione
nato da una serie di curiosità che richiedevano soddisfazione creativa. Un
progetto parallelo capace di non snaturare nella maniera più assoluta una
carriera sempre in fieri e capace di mettersi in gioco con il presente.
Tempo! corre e scorre veloce per oltre 600 pagine: il De Piscopo
scrittore è colloquiale, al limite anche di una discreta confidenza, proprio come
certi leggeri dettagli percussivi sul piatto che non t’aspetti. E già dalle
prime pagine si rimarrà certamente spiazzati (perché? Scopritelo…), ma
lasciatevi condurre per mano da una mano che ha polso, groove ed esperienza.
© Riccardo Storti
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