domenica 3 marzo 2019

CELESTE - "Il Risveglio del Principe" (Mellow Records, 2019)


Erano anni che Ciro Perrino ci girava intorno. Il primo amore non si scorda mai e i materiali nel cassetto non mancavano al fine di potere dare la sveglia a quel "principe di un giorno", tranquillo trai suoi sogni dal 1976. Certo che deve essere stato un bel trauma sobbalzare a colpi di partiture rigenerate nel bel mezzo del 2019.
In realtà, se è vero che Perrino sia ripartito da dove il "principe" si fosse fermato (con tutti i recuperi stilistici del caso), risulta altrettanto vero che questa nuova prova collettiva dei rinnovati Celeste è il prodotto delle svariate ed eclettiche stratificazioni creative, maturate nei decenni dal compositore matuziano.
L'imprinting originale, attinto prevalentemente dai King Crimson "acustici" (che, però, non rinunciano alle magie elettrofoniche del mellotron), resta ma si fonde alle esperienze di un musicista che ha attraversato settori eterogenei (elettronica, classica contemporanea e repertorio pianistico estemporaneo) sempre con entusiastica curiosità.
Nella sua complessità, Il Risveglio del Principe si fa apprezzare soprattutto per le costruzioni armoniche e gli accostamenti timbrici. Si capisce lontano un miglio che il lavoro di arrangiamento e giustapposizione delle suoni è nato da un profondo (e - mi pare anche di capire - faticoso) lavoro.
I primi King Crimson (triennio 69-71)  più tenui e sfumati danno la stura a brani come l'opener Fior di loto, Bianca vestale, Falsi piani lontani e Porpora e Giacinto.
Impressionano positivamente  pure le cadenze solistiche del sax (tutti perfette, davvero, ma con un apice in Bianca vestale) ed i giochi di contrasto contrappuntistico tra violino e flauto (sempre Bianca vestale), violino e sax (Fonte perenne e Falsi piani lontani) nonché le trame cameristiche degli archi (Statue di sale) e taluni divertissement barocchi come quelli di un bachiano flauto dolce che piroetta tra l'aria dei Giardini di pietra. La tavolozza di Perrino non esita nemmeno a ricorrere ad artifici elettroacustici di indubbia seduzione (andate all'apertura di Principessa oscura o in prossimità dei moti dissonanti di Mare di giada).
Meno convincente, invece, la costruzione delle linee melodiche in corrispondenza delle parti cantate, poco in rilievo e dalla scrittura meno fantasiosa (se paragonate al notevole impianto strumentale); un dettaglio, questo, che evidenziai già in passato proprio ascoltando Principe di un giorno e che, pertanto, rientra nell'alveo di una coerente scelta espressiva, tale da non essere tradotta come un difetto.
La musica prevale sulla parola (nonostante la ricerca e la ricercatezza testuale): il fascino sonoro è talmente "solare", da porre in ombra le parti cantate. Un canto semplice ma mai, comunque, semplicistico o frettoloso, figlio di un approccio elementare (ovvero che, con umiltà e, appunto, semplicità, ritorna agli "elementi" dell'espressione canora). Gli esiti possono risultare discutibili, ma l'onesta prospettiva estetica di partenza rimane valida.
Una parola sull'ensemble: Perrino ha scelto bene i suoi collaboratori, muovendosi tra jazzisti e interpreti classici, ma non mancano camei prog come quelli di Elisa Montaldo (Il Tempio delle Clessidre) e del tastierista Alfio Costa (Daal e Prowlers).
Riccardo Storti

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