Dai toscani Basta! arriva questo
concept album strumentale il cui racconto è affidato ad una voce narrante,
preposta a segnalare i momenti evolutivi del racconto.
Siamo in pieno filone
neoprogressive: la ricetta collaudata non cambia da quella riscontrata in altri
lavori contemporanei, onestissimi e ricchi di passione, ma – ahinoi –
stilisticamente abbastanza ripiegati in un certo manierismo calligrafico. La
band, però, offre qualche carta alternativa dovuta principalmente alla
dotazione timbrica dell’organico che, superando il limite “rock” di basso,
batteria, chitarra e tastiere, si apre a combinazioni coloristiche alquanto
inedite, offerte dalla diamonica, dal sax e dal clarinetto basso.
Non dico che il “grosso” di
questa opera risulti – sul piano musicale – abbastanza prevedibile, però, va da
sé che il rischio di inflazionare l’ordito armonico su tessuti metrici
irregolari (quelli che alcuni chiamano, erroneamente, “tempi dispari”) è un
vulnus assai frequente nel e del prog contemporaneo, soprattutto quando viene
combinato con moduli ostinati tra il riff rock e la sequenza minimal. Dalle frasi in 7/8 degli Area
allo stentoreo accordo distorto crimosaniano, passando per ariose modulazioni
alla Genesis: tutti nobili richiami che fanno godere il fan del prog perché gli
ricorda gli altarini di vinile.
I Basta! hanno, però, la stoffa
per arrivare, prima o poi, ad un superamento stilistico, in nome di una cifra
espressiva più personale. Sì, perché tutto si può scrivere, ma non che il gruppo
non abbia personalità.
Al di là di quanto vergato fin
qui, l’impianto del disco resta comunque molto valido: la vicenda
space-circense pone Elemento antropico
come una sorta di “racconto sinfonico” tra Concerto
delle menti dei Pholas Dactylus, Maledetti!
degli Area e talune stramberie
d’alta quota lisergica firmate dai Gong. Sfrondati i richiami prog più classici
(che, però, adombrano l’autenticità dell’ensemble), si possono cogliere episodi
di alta fattura qualitativa, figli di un attento approccio scritturale. Diversi
gli episodi da segnalare: le frammentazioni dinamiche tra jazz e musica
contemporanea in L’uomo cannone,
l’incipit electro-ambient di Intro
(con Fabio Zuffanti guest alla voce narrante), il gusto per la citazione in Esco dall’antro ma, soprattutto, i
passaggi fiatistici di Doombo (L’elefante
del destino), Zirkus e Countdown e i giochi di linearità
melodica (quasi da colonna sonora) della suggestiva Entro l’antro (vertice assoluto del disco).
(Riccardo Storti)
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