Vogliamo fare un bel tuffo nel progressive rock italiano degli anni
Settanta, ma quello più di nicchia, più particolare? La band milanese Macchina Pneumatica
sembra avere tutte le caratteristiche ereditarie del filone, visto che il loro
esordio suona come un autentico tributo a quella stagione. Sia bene inteso: ci
mettono del loro e, tra un brano e l'altro, tentano una via autonoma e personale,
ma sempre all'interno di una struttura ben definita, dalle ascendenze inconfondibili.
Macchina Pneumatica tiene i pieni ben saldi sul terreno del prog rock ma
servendosi di un paio di scarpe anomale, una hard e l'altra jazzata; il passo
merita attenzione perché il percorso non è sempre lineare. Sullo sfondo, la
fitta rete di interminabili riferimenti nobili che sono l'ideale benzina da
mettere nel serbatoio della macchina.
In Gli abitanti del pianeta colpisce
subito la voce del cantante (e chitarrista) Raffaele Gigliotti, che, sui toni
alti, ricorda molto da vicino quella di
Ricky Belloni epoca Nuova Idea, mentre la canzone, per struttura evolutiva, si allinea
a certe cupezze del Museo Rosenbach.
L'iniziale staccato sixties di Quadrato
non deve ingannare perché basta l'attacco del sintetizzatore per ritrovarci tra
i marosi movimentati degli Alphataurus, bravissimi all'epoca nel riuscire a
congiungere intenzioni melodiche e chitarre heavy.
Come me è il classico brano ad anello: principia come una
delicata ballad pianistica in stile Banco che aggiunge elementi timbrici
elettrici, spalmando sulla composizione colorazioni calde e intense, fino ad
una parte centrale interamente strumentale, in cui spadroneggiano le tastiere
di Carlo Fiore. E qui siamo in un territorio caro alle esperienze della
"scuola romana" (quante consonanze con Goblin, Cherry Five, L'Uovo di
Colombo e Reale Accademia di Musica).
Riff hard e vibrazioni jazz rock caratterizzano Avvoltoi: la memoria corre a il Volo di Radius e Lavezzi e Il
Rovescio della Medaglia, mentre la coda sinfonica sposta le nostre reminiscenze
alle Orme di Felona e Sorona.
Nelle ultime due tracce, ci si gioca tutto, anche perché le parti
strumentali tendono ad ampliarsi (anzi la conclusiva title-track è interamente
strumentale), pertanto le attese - arrivati a questo punto - risultano cariche
di aspettative.
Sopravvivo per me mette in mostra riff e ruvidezze hard (non solo
nelle chitarre e nell'organo, ma anche nell'uso della voce) legate alla Nuova
Idea, Semiramis, Il Rovescio della Medaglia, I Teoremi e Atlantide, nella
seconda parte, invece, prevale un lungo dialogo solista tra l'elettrica di Gigliotti
e il piano elettrico di Fiore, che forse poteva essere accorciato. Ecco: assoli
troppo lunghi, questo è il maggiore neo riscontrato anche nella successiva Macchina Pneumatica, composizione
sorretta da un tempo terzinato che evolve in blues ma non rinuncia ad
estroflessioni jazzate inizio anni Settanta (quando ci provavano agli esordi la
PFM di Dove... Quando... parte 2, i
Delirium di To Satchmo, Bird and other
unforgettable friends e, poco più avanti, i New Trolls Atomic System di Tempi dispari). E si scorre bene, grazie
anche all'affiatamento metrico di basso (Carlo Giustiniani) e batteria
(Vincenzo Vitagliano).
La scommessa della Black
Widow Records di produrre dischi nel 2019, passando attraverso sonorità
vintage, si riconferma anche con questo disco: artigianato musicale di onesta
fattura e di rispetto verso radici che meritano sempre di essere annaffiate con
cura. E nel giardino di Via del Campo sanno come si fa. (Riccardo Storti)
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