domenica 1 settembre 2019

YES - Yes: Live50 (Rhino, 2019)


Yes, 50 anni. Proprio così: la storica band britannica, colonna portante dell'epopea prog, ha compiuto mezzo secolo di attività e ha festeggiato l'ambizioso traguardo con un doppio CD live (4 vinili) che fissa il meglio di due concerti, tenutisi al Fillmore di Philadelphia il 20 e 21 luglio del 2018. Per l'occasione, due cammei tastieristici degli ex Tony Kaye e Patrick Moraz che in più di un episodio si sono inseriti nella playlist della performance. Immancabile l'inconfondibile segno visivo della copertina di Roger Dean.
La line-up, ad oggi, non vede nessuno della formazione originale, visto che il "capitano" della nave, il chitarrista Steve Howe, era subentrato nel 1970 a Peter Banks; il batterista Alan White aveva sostituito Brudford nella seconda metà del 1972 e Geoff Downes si annovera come il quarto tastierista nella storia della band, arrivando dopo il già citato Moraz (che aveva a sua volta sostituito Wakeman). Paradossalmente è proprio uno degli ospiti a mantenere il legame con i primi passi degli Yes, quel Tony Kaye incontrato da Jon Anderson e Chris Squire alla fine del 1968, quando la formazione cominciava ad uscire dal guscio.
Come si sa, il povero Squire ci ha lasciato nel giugno del 2015 e il suo posto è stato preso da Billy Sherwood (musicista, nonché abile producer e tecnico del suono, che bazzica intorno alla galassia Yes già dalla metà degli anni Novanta); quanto ad Anderson, è dal 2008 che si occupa di vari progetti musicali: attualmente il vocalist è l'americano Jon Davison (già con gli Sky Cries Mary e Glass Hammer). Da aggiungere il secondo batterista Jay Schellen che dà una grossa mano all'inossidabile Alan White.
Al di là degli entusiasmi celebrativi, si tratta ora di vedere come questo ennesimo live continui a raccontare la storia del gruppo.
Si parte con la memorabile suite di Close to the Edge, (rap)presentazione sempre all'altezza, seguita dalla leggerezza acustica di Nine Voices (Longwalker) (brano di fine millennio), quindi un bel tuffo nel passato con la vivace Sweet Dreams e una pagina wakemaniana ovvero quel Madrigal inciso su Tormato nel 1978.
Per Fly From Here, Part I: We Can Fly (part I) si apre un piccolo giallo; infatti, se andate a vedere il video di una delle due serate e le relative setlist (20 e 21), vi accorgerete che alla voce c'è un guest, annunciato dalla stampa ufficiale ma negato dalle note di copertina: l'ex Buggles Trevor Horn che, con Downes entrò negli Yes ai tempi di Drama. In effetti non è difficile accorgersene confrontando video e traccia: l'esecuzione di Horn mette in luce parecchi difetti esecutivi, pertanto si pensa che, alla fine, abbiano deciso per una versione registrata in studio interpretata da Davison. La questione è stata affrontata da Steven Shinder in una recente analisi apparsa su Beat, a cui vi rimando.
Con Soon (un classico da Relayer) arriva Patrick Moraz, i cui interventi, comunque, appaiono poco influenti (molto più interessanti le rifiniture bassistiche di Sherwood); chiusura con il sinfonismo elettrico di Awaken dalla sua lunghissima coda strumentale.
Il secondo CD si apre con Parallels, brano che Chris Squire aveva scritto per Going for the One e nel quale le combinazioni corali di Davison e Sherwood sembrano avere mantenuta inalterata la fedeltà con l'originale (idem dicasi per le parti chitarristiche di Howe). A tal proposito, il nostro si ritaglia un primo spazio, condiviso con Davison, in occasione di The Ancient, che diventa individuale con l'immancabile ricorso a Georgia's Song in medley insieme alla celeberrima Mood for a Day.
Il bis è affidato ad una tripletta esplosiva, corredata dal passaggio di Tony Kaye: per Yours is not Disgrace e Starship Trooper si tratta di un ripasso, visto che in quei dischi Kaye c'era; singolare vederlo e sentirlo piuttosto a proprio agio nei panni wakemaniani di Roundabout (benché, complessivamente, l'esecuzione risulti molto meno fluida rispetto ad altre ascoltate in passato).
Tutto sommato, una festa (discografica) di compleanno riuscita: i fan non potranno che essere soddisfatti. Al di là dell'effetto nostalgia, la nota più positiva va ricercata nella timbrica vocale di Davison, reale clone di Anderson e perfetto continuatore del sound Yes, almeno per quello che concerne il comparto canoro. (Riccardo Storti)

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