Yes, 50 anni. Proprio così: la storica band britannica, colonna portante
dell'epopea prog, ha compiuto mezzo secolo di attività e ha festeggiato
l'ambizioso traguardo con un
doppio CD live (4 vinili) che fissa il meglio di due concerti, tenutisi al
Fillmore di Philadelphia il 20 e 21 luglio del 2018. Per l'occasione, due
cammei tastieristici degli ex Tony Kaye e Patrick Moraz che in più di un
episodio si sono inseriti nella playlist della performance. Immancabile l'inconfondibile
segno visivo della copertina di Roger Dean.
La line-up, ad oggi, non vede nessuno della formazione originale, visto che
il "capitano" della nave, il chitarrista Steve Howe, era subentrato nel
1970 a Peter Banks; il batterista Alan White aveva sostituito Brudford nella
seconda metà del 1972 e Geoff Downes si annovera come il quarto tastierista nella
storia della band, arrivando dopo il già citato Moraz (che aveva a sua volta sostituito
Wakeman). Paradossalmente è proprio uno degli ospiti a mantenere il legame con
i primi passi degli Yes, quel Tony Kaye incontrato da Jon Anderson e Chris
Squire alla fine del 1968, quando la formazione cominciava ad uscire dal guscio.
Come si sa, il povero Squire ci ha lasciato nel giugno del 2015 e il suo
posto è stato preso da Billy Sherwood (musicista, nonché abile producer e
tecnico del suono, che bazzica intorno alla galassia Yes già dalla metà degli
anni Novanta); quanto ad Anderson, è dal 2008 che si occupa di vari progetti
musicali: attualmente il vocalist è l'americano Jon Davison (già con gli Sky
Cries Mary e Glass Hammer). Da aggiungere il secondo batterista Jay Schellen
che dà una grossa mano all'inossidabile Alan White.
Al di là degli entusiasmi celebrativi, si tratta ora di vedere come questo
ennesimo live continui a raccontare la storia del gruppo.
Si parte con la memorabile suite di Close
to the Edge, (rap)presentazione sempre all'altezza, seguita dalla
leggerezza acustica di Nine Voices
(Longwalker) (brano di fine millennio), quindi un bel tuffo nel passato con
la vivace Sweet Dreams e una pagina
wakemaniana ovvero quel Madrigal
inciso su Tormato nel 1978.
Per Fly From Here, Part I: We Can Fly
(part I) si apre un piccolo giallo; infatti, se andate a vedere il video di una delle due serate e le relative setlist (20 e 21), vi accorgerete che alla voce c'è un guest,
annunciato dalla stampa ufficiale ma negato dalle note di copertina: l'ex Buggles Trevor Horn che, con Downes entrò
negli Yes ai tempi di Drama. In
effetti non è difficile accorgersene confrontando video e traccia: l'esecuzione
di Horn mette in luce parecchi difetti esecutivi, pertanto si pensa che, alla
fine, abbiano deciso per una versione registrata in studio interpretata da
Davison. La questione è stata affrontata da Steven Shinder in una recente
analisi apparsa su Beat, a cui vi rimando.
Con Soon (un classico da Relayer) arriva Patrick Moraz, i cui
interventi, comunque, appaiono poco influenti (molto più interessanti le rifiniture
bassistiche di Sherwood); chiusura con il sinfonismo elettrico di Awaken dalla sua lunghissima coda
strumentale.
Il secondo CD si apre con Parallels,
brano che Chris Squire aveva scritto per Going
for the One e nel quale le combinazioni corali di Davison e Sherwood
sembrano avere mantenuta inalterata la fedeltà con l'originale (idem dicasi per
le parti chitarristiche di Howe). A tal proposito, il nostro si ritaglia un
primo spazio, condiviso con Davison, in occasione di The Ancient, che diventa individuale con l'immancabile ricorso a Georgia's Song in medley insieme alla
celeberrima Mood for a Day.
Il bis è affidato ad una tripletta esplosiva, corredata dal passaggio di
Tony Kaye: per Yours is not Disgrace
e Starship Trooper si tratta di un
ripasso, visto che in quei dischi Kaye c'era; singolare vederlo e sentirlo
piuttosto a proprio agio nei panni wakemaniani di Roundabout (benché, complessivamente, l'esecuzione risulti molto
meno fluida rispetto ad altre ascoltate in passato).
Tutto sommato, una festa (discografica) di compleanno riuscita: i fan non
potranno che essere soddisfatti. Al di là dell'effetto nostalgia, la nota più
positiva va ricercata nella timbrica vocale di Davison, reale clone di Anderson
e perfetto continuatore del sound Yes, almeno per quello che concerne il
comparto canoro. (Riccardo Storti)
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