© Riccardo Storti
mercoledì 24 agosto 2011
Salim Ghazi Saeedi con Arashk - Abrahadabra (2006). Il primo passo
Centralità chitarristica di Salim Ghazi Saeedi: da qui tutto nasce e tutto finisce. Una tecnica che va già al di là del tentativo di un dilettante. Cosa manca ancora, invece, una prospettiva compositiva autonoma rispetto ai troppi retaggi di generi. Questo Abrahadabra, registrato nello studio domestico di Salim con il gruppo Arashk, è soprattutto il prodotto di un’indigestione di generi musicali, vissuto con entusiasmo e passione, ma senza ancora un disegno preciso. Prevale il metal un po’ malmsteeniano (Told to the Bird, Horizon, Route, più cinetico in Autumnal Nightmare e in Splendour of Death), equilibrato da un pizzico di orientalismo di maniera (Excuse, Dance of Gods, Joker e Abrahadabra). Non c’è ancora la scelta di una via espressiva personale. Eppure questa varietà eclettica di stili viene denominata dal musicista come “pictorial rock”, una sorta di rappresentazione figurativa in musica, attraverso cui stati d’animo e colori sonori troverebbero l’adeguata sintesi in una sorta di concept album sui casi della vita. La polarità chitarristica è, sì, il punto di forza del disco ma, al tempo stesso, deve sopperire ad una debolezza ritmica, fatta di pattern piuttosto poco elaborati ed ad arrangiamenti tastieristici limitati al solo comparto armonico. Il tentativo resta encomiabile in quanto ad impegno, ma rimane solo un avvio di buone intenzioni.
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