Così, grazie sempre al coraggio
lungimirante di Marinone, riesce a realizzare un ambizioso progetto (Subtilior)
ed un lavoro di notevole spessore (Absence
upon a gound): si tratta di fatto dell'ingresso di Epifani nel bel
mondo del Rock In Opposition. Con un
occhio, però, al lauto bacino della musica contemporanea, visto che l'opera è
dedicata ad Azio Corghi.
L'ensemble Subtilior è mobile e
vede passaggio di esecutori impegnati a
suonare strumenti acustici di derivazione classica (violino, clarinetto,
clarinetto basso, vibrafono, pianoforte a coda), etnica (marimba e altre
percussioni) e jazzistica (batteria, sax tenore) più noti elettrofoni (basso e
chitarra, nonché organo Hammond, piano elettrico e sintetizzatore pilotati da
Epifani).
In realtà il titolo va scisso in
due, in quanto le due composizioni portanti sono proprio Absence e Upon
a ground. La prima tratta proprio il concetto dell'assenza nella musica che
esiste in quanto relazionato al suo opposto, ovvero la presenza. La presenza
di un motivo che, nel gioco di multifomi variazioni, appare e scompare, come un
frammento di “un non so che” nella nostra fluttuante e aleatoria memoria. Il
periglioso e frammentario itinerario viene sviluppato da Epifani attraverso il
recupero di movimenti classici (arioso, toccata e danzante) fino ad un brevissimo
momento tonale, quando si palesa la melodia medievale di Hélas avril di
Matteo da Perugia (maestro dell' ars – guarda un po'... - subtilior).
Più atmosferico, invece,
l'approccio di Upon a ground, dove le diverse sonorità sembrano emergere
dal silenzio secondo un'evoluzione dinamica lenta ma inesorabile, quasi mossa
da un meccanismo ad orologeria. Alcuni sprazzi climatici ricordano
ambientazioni sonore da colonna, mentre
alcuni agganci tematici avvicinano il brano al jazz d'avanguardia e
all'alternative rock (caratteristiche totalmente aliene, invece, in Absence).
“Subtilior” in Latino significa
“più sottile” e in questa musica il tentativo di andare sempre più a fondo è
tattile ma non sempre visibile, come il legame con una tradizione che – quasi
magicamente – riesce a mettere d'accordo Anton
Webern, Ornette Coleman e i King Crimson.
© Riccardo Storti
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