Rieccoci
di nuovo tra le pieghe di questo sorprendente album. Il Five-Storey Ensemble,
traccia dopo traccia, mostra una scrittura esperta e vigile, figlia di studi
maturati all'ombra di una secolare cultura contrappuntistica. Si può partire da Orlando Di Lasso e arrivare a John
Zorn, magari scomodando – nel tragitto – John Coltrane e Frank Zappa.
E questo i nostri bielorussi lo sanno.
Prendiamo
The Unpainted: da un lato le
mutazioni dinamiche vocali – dense di pathos - della Podgaskaja, dall'altro
fraseggi sviluppati a canone con inaspettati esiti crimsoniani.
Yesterday Dormant sembra quasi un duetto operistico di un
melodramma scuro e oscuro, spigoloso e affilato con un'inattesa evoluzione
ariose. Da notare il contrasto netto tra le due voci: quella femminile è più
lirica, quella maschil mira alla declamazione da Sprechgesang schoenberghiano.
Struttura
tipicamente classica (da rondò) per The
Protector: un motivo saltellante di oboe collegato ad un ostinato su tempo
composto (tema A), un largo centrale dominato da una malincolica rapsodia di
violoncello e ripresa del tema A. Clima piacevole di una leggiadria meditata tra Bela Bartók, Les Six e Penguin Cafè
Orchestra.
Con Fear-Dream si ritorna alla colonna
sonora, ma qui c'è un modo di elaborare soundtrack più tipico del gruppo che
non del singolo compositore. Ascoltando, non mi vengono in mente Morricone o
Williams, bensì il Banco del Mutuo
Soccorso di Garofano Rosso (o di
quell'affresco irripetibile che fu … di
terra). Strano, vero? Ma non troppo. Al di là delle similitudini legate
agli impasti e alle combinazioni sonore, notare il timbro della chitarra di
Jury Korogoda, simile a quello di Rodolfo
Maltese.
Culmine di inventiva in Amid The Smoke And Different Questions.
La tecnica, spiazzante, è quella della sovrapposizione di composizioni diverse,
autonome e, per lo più, costruite su tonalità diverse, quasi a creare un
tessuto musicale onirico, generato dal disordine ordinato di un'attività
mentale multitasking. Oppure un sollazzo di equivoci spazio-temporali
finalizzati al disorientamento percettivo dell'ascoltatore. Trucchi vecchi come
il Novecento di Mahler, Ives, Cage, Stockhausen e Schnittke.
Finale affidato alla title
track, un brillante pastiche dagli ingredienti variabili: un clavicembalo per
un'evocativa gagliarda dallo spirito neoclassico, sentori ritmici di tango,
metamorfosi minimaliste al piano, addizioni orchestrali in crescendo, quieti
interludi impressionistici e misure irregolari. Umori e amori in continuo
movimento. D'altra parte sono stati loro a scrivere sulle note di copertina:
“Noi componiamo il tipo di musica che ci piace ascoltare”. Più chiaro di
così... (fine)
© Riccardo
Storti
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