sabato 21 dicembre 2013

SPECIALE ALTROCK: Five-Storey Ensemble – "Not That City" (2013) – terza parte


Rieccoci di nuovo tra le pieghe di questo sorprendente album. Il Five-Storey Ensemble, traccia dopo traccia, mostra una scrittura esperta e vigile, figlia di studi maturati all'ombra di una secolare cultura contrappuntistica.  Si può partire da Orlando Di Lasso e arrivare a John Zorn, magari scomodando – nel tragitto – John Coltrane e Frank Zappa. E questo i nostri bielorussi lo sanno.
Prendiamo The Unpainted: da un lato le mutazioni dinamiche vocali – dense di pathos - della Podgaskaja, dall'altro fraseggi sviluppati a canone con inaspettati esiti crimsoniani.
Yesterday Dormant  sembra quasi un duetto operistico di un melodramma scuro e oscuro, spigoloso e affilato con un'inattesa evoluzione ariose. Da notare il contrasto netto tra le due voci: quella femminile è più lirica, quella maschil mira alla declamazione da Sprechgesang schoenberghiano.
Struttura tipicamente classica (da rondò) per The Protector: un motivo saltellante di oboe collegato ad un ostinato su tempo composto (tema A), un largo centrale dominato da una malincolica rapsodia di violoncello e ripresa del tema A. Clima piacevole di una leggiadria meditata tra Bela Bartók, Les Six e Penguin Cafè Orchestra.
Con Fear-Dream si ritorna alla colonna sonora, ma qui c'è un modo di elaborare soundtrack più tipico del gruppo che non del singolo compositore. Ascoltando, non mi vengono in mente Morricone o Williams, bensì il Banco del Mutuo Soccorso di Garofano Rosso (o di quell'affresco irripetibile che fu … di terra). Strano, vero? Ma non troppo. Al di là delle similitudini legate agli impasti e alle combinazioni sonore, notare il timbro della chitarra di Jury Korogoda, simile a quello di Rodolfo Maltese.
Culmine di inventiva in Amid The Smoke And Different Questions. La tecnica, spiazzante, è quella della sovrapposizione di composizioni diverse, autonome e, per lo più, costruite su tonalità diverse, quasi a creare un tessuto musicale onirico, generato dal disordine ordinato di un'attività mentale multitasking. Oppure un sollazzo di equivoci spazio-temporali finalizzati al disorientamento percettivo dell'ascoltatore. Trucchi vecchi come il Novecento di Mahler, Ives, Cage, Stockhausen e Schnittke. 
Finale affidato alla title track, un brillante pastiche dagli ingredienti variabili: un clavicembalo per un'evocativa gagliarda dallo spirito neoclassico, sentori ritmici di tango, metamorfosi minimaliste al piano, addizioni orchestrali in crescendo, quieti interludi impressionistici e misure irregolari. Umori e amori in continuo movimento. D'altra parte sono stati loro a scrivere sulle note di copertina: “Noi componiamo il tipo di musica che ci piace ascoltare”. Più chiaro di così... (fine)
    

© Riccardo Storti 

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