lunedì 21 novembre 2016

GUIDA ALL'ASCOLTO - Jack Bruce "Smiles and Grins"

È il 1971 quando l'ex Cream Jack Bruce dà alle stampe il notevolissimo Harmony Row. La line-up è un (apparente) power trio con Chris Spedding alla chitarra, John Marshall (Nucleus, Soft Machine... ) e lo stesso Bruce vocalist polistrumentista al basso, tastiere, chitarre e violoncello. C'è un brano che mi ha colpito per particolari attitudini prog e mi riferisco a Smiles and Grins. Proviamo a sezionarlo per bene, perché merita veramente attenzione per le sorprese che mostra.



L'incipit porta avanti un tappeto di violoncello che pare attinta da qualche raga indiano. A 0'35" una ritmica in 7/8 su cui Bruce tenta pure un piccolissimo solista, in mezzo al tintinnio di chitarre e pianoforte. Come un fulmine a ciel sereno, il riff in scala cromatica discendente (1'20") che dà forma (e forza) al tema cantato da Bruce: notate quali similitudini mostri questo passaggio (dissonante) con certe pagine coeve dei Gentle Giant. Una cesura stempera il flusso ipnotico (1'56") in un'alleggerimento della tensione che dura solo 2 battute. Questo cambio di atmosfera sarà proprio alla base del motivo melodico (un po' alla Cream) che si dispiegherà da 2'40" fino ad una sospensione a 3'06": ritorna il 7/8 per una jam autoreferenziale di un Bruce improvvisatore al basso, all'organo e al pianoforte, mentre Spedding armonizza come ai tempi dei Nucleus. Il resto parrebbe abbastanza prevedibile con una ripresa dei due elementi sostanziali del brano, ma attenzione perché il secondo (quello più lirico) si fa coda strumentale con diverse pregevoli modulazioni (si colgono nell'arpeggiato da 4'37") e un clima non dissimile a taluni finali sinfonici protoprog dei Traffic (un piano blues su un tappeto di Hammond) ma che potrebbero anche ricordare i primi Genesis.
Smiles and Grins è la prova tangibile che, negli anni Settanta, appena un musicista tentava di uscire dalla forma rock, finiva per ritrovarsi a condividere idee con i cugini del prog. Ma questa potrebbe essere solo l'affermazione (condizionata e distorta) di chi ne scrive nel 2016, perché all'epoca la corsa alla qualità era ancora qualcosa di squisitamente artigianale. E artistico. (Riccardo Storti)

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