Sull'onestà e sullo sforzo, nessun dubbio, ma - appurato ciò - questo
lavoro proprio non mi convince. Non sto dicendo che mi sfugga il senso di una
simile operazione discografica. Mi chiedo semmai cosa possa aggiungere di
importante alla gloriosa storia dell'ensemble americano. Quindicesimo disco in
studio, The Prelude Implicit esce a
distanza di oltre 15 anni dall'ultima fatica di Phil Ehart e Rich Williams (gli
unici rimasti dalla diaspora dei componenti originari).
Il CD è una reiterazione di moduli compositivi "classici" dei
Kansas, ovviamente confezionati con cura e nitore interpretativo; ma le
composizioni, in generale, si reggono faticosamente su strutture solide in 40
anni fa ma, ormai, consumate dal tempo.
L'opener With This Heart
inflaziona troppo il terzinato zoppicante; Visibility
Zero si regge su un riff potente e un ritornello epico, inframmezzati
dall'immancabile prova di virtuosismo violinistico. Sulla stessa falsariga, il
power rock AOR di Rhythm in the Spirit,
di Camouflage e di Section 60 si mischia a parecchie
reminescenze del passato, circoscrivibili tra Song for America (Incomudro/Hymn
to the Atman) e Leftouverture (Magnus Opus), così come nell'heavy giga
di Summer.
Piacevoli le ballad The Unsung Heroes
e Refugee (arricchita dai cori);
gradevoli, appunto, ma nulla più, forse perché i Kansas di Dust in the Wind ci avevano abituato a profondità espressive di
altro segno.
Due composizioni si distinguono e, per qualità, svettano dalle piatte lande
di un panorama piuttosto uniforme: The
Voyage of Eight Eighteen e Crowded
Isolation. La prima è una long track/minisuite di oltre 8 minuti grazie
alla quale il gruppo è riuscito a sintetizzare al meglio l'essenza
storico-compositiva dei Kansas (da manuale i soli "dialettici" di
chitarra e organo Hammond da 3'38"); la seconda è una song dalle pregevoli
articolazioni melodiche e dal contagioso portato ritmico (quasi alla Red Hot
Chilli Pepper), dotata soprattutto di un ritornello arioso, di quelli che
restano in testa e ronzano per ore.
Alla fine, il lupo non ha perso né pelo, né vizio; forse l'ispirazione non
è al massimo, ma due pezzi così possono salvare un disco. Discreto, ma nulla
più.
© Riccardo Storti
Ascolta il disco su Spotify
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