domenica 26 marzo 2017

KANSAS - "The Prelude Implicit" (Inside Out Music, 2016)

Sull'onestà e sullo sforzo, nessun dubbio, ma - appurato ciò - questo lavoro proprio non mi convince. Non sto dicendo che mi sfugga il senso di una simile operazione discografica. Mi chiedo semmai cosa possa aggiungere di importante alla gloriosa storia dell'ensemble americano. Quindicesimo disco in studio, The Prelude Implicit esce a distanza di oltre 15 anni dall'ultima fatica di Phil Ehart e Rich Williams (gli unici rimasti dalla diaspora dei componenti originari).
Il CD è una reiterazione di moduli compositivi "classici" dei Kansas, ovviamente confezionati con cura e nitore interpretativo; ma le composizioni, in generale, si reggono faticosamente su strutture solide in 40 anni fa ma, ormai, consumate dal tempo.
L'opener With This Heart inflaziona troppo il terzinato zoppicante; Visibility Zero si regge su un riff potente e un ritornello epico, inframmezzati dall'immancabile prova di virtuosismo violinistico. Sulla stessa falsariga, il power rock AOR di Rhythm in the Spirit, di Camouflage e di Section 60 si mischia a parecchie reminescenze del passato, circoscrivibili tra Song for America (Incomudro/Hymn to the Atman) e Leftouverture (Magnus Opus), così come nell'heavy giga di Summer.
Piacevoli le ballad The Unsung Heroes e Refugee (arricchita dai cori); gradevoli, appunto, ma nulla più, forse perché i Kansas di Dust in the Wind ci avevano abituato a profondità espressive di altro segno.
Due composizioni si distinguono e, per qualità, svettano dalle piatte lande di un panorama piuttosto uniforme: The Voyage of Eight Eighteen e Crowded Isolation. La prima è una long track/minisuite di oltre 8 minuti grazie alla quale il gruppo è riuscito a sintetizzare al meglio l'essenza storico-compositiva dei Kansas (da manuale i soli "dialettici" di chitarra e organo Hammond da 3'38"); la seconda è una song dalle pregevoli articolazioni melodiche e dal contagioso portato ritmico (quasi alla Red Hot Chilli Pepper), dotata soprattutto di un ritornello arioso, di quelli che restano in testa e ronzano per ore.
Alla fine, il lupo non ha perso né pelo, né vizio; forse l'ispirazione non è al massimo, ma due pezzi così possono salvare un disco. Discreto, ma nulla più.  

© Riccardo Storti
Ascolta il disco su Spotify

 

Nessun commento:

Posta un commento