domenica 9 aprile 2017

ALESSANDRO MONTI/UNFOLK COLLECTIVE - "Intuitive Maps" (M.P. & Records, 2017)

Alessandro Monti, fondatore e bassista della prog band veneta Quanah Parker, riscopre e riprende in mano le radici del passato e, a dieci anni dal progetto Unfolk, ci propone di dare un occhio alle sue "mappe intuitive". Il CD si chiama proprio così, Intuitive Maps, ed è stato pubblicato dalla M. P. & Records di Vanuccio Zanella, quasi come una candelina sulla torta per i 25 anni della label padovana.
Trattasi di opera bella tosta per palati fini dediti alla perdizione assoluta tra sospensioni aeree e ambientali. In effetti ogni traccia ci mostra un percorso compositivo (e intuitivo) a sé stante, ma fino ad un certo punto, perché, se si prova a guardare queste "mappe" da lontano (e in una visione acustica collettiva), ci si accorge dell'unitarietà del quadro. Ogni frammento va al posto giusto nella rilettura personale di un mappamondo musicale e geostorico, in grado di condensare esperienze stilistiche di frontiera ormai divenute tradizione. Mi riferisco all'ampio mantra che dall'Oriente si è steso oltre 40 anni fa sull'Europa e sugli States, con puntate ben circoscritte in Italia e Germania.
ESP Sutra è elettronica tibetana: risonanze sintetiche dei Tangerine Dream si stemperano in richiami gravi di un OM primordiale; negli oltre 9 minuti di The Seventh Orbit la complessità risiede tutta nel gioco di rifrazioni elettroacustiche, agitate dalle polifonie vocali di Elisabetta Montino, tra declamazione e melismi, abilissima nel lasciare emergere con raffinatezza il tessuto melodico, per poi riportarlo altrove.
L'Africa, seminata nella tripartita Mbuyu Na Mkonge, si snoda in mezzo a itinerari ritmici ossessivi adombrati dal passaggio di sintetizzatori (parte 1), per poi declinare verso territori addirittura chillout (parte 2 e 3).
In The Theatre of Eternal Snows Monti prende il basso in mano, ma non rinuncia a ritocchi di sonorità quasi puntillistiche di una vaga psichedelia minimalista, un po' come capitava in quegli strani dischi di Hugh Hopper all'inizio degli anni Settanta. Il brano ha un suo sviluppo montante dove si mischiano varie nobili influenze (Pink Floyd seminali e kraut rock).
Da una scheggia di piano elettrico si erige l'architettura ritmico-armonica di New Rhodes Tapestry che, però, pur mantenendo fissa la base kraut minimal, affida le proprie sorti ad un solo di chitarra elettrica dalle sfumature progressive (pare di ascoltare Steve Rothery dei Marillion accompagnato dagli Ash Ra Tempel).
Con Pashupatinath Temple/Ruins Of Kathmandu entriamo invece in una poderosa suite che racconta le profonde sensazioni provate e vissute dal nostro, durante il viaggio in Nepal. Una pagina coloratissima, basata su un clima di luci cangianti e inchiodata su un accordo: da un lato l'armamentario acustico, dotato di kalimba, flauto; dall'altro l'elettricità di un basso e di un Fender Rhodes (che conferisce al clima sonoro generale un'aria quasi jazzy) e una chitarra elettrica distorta.
Tra impressionismo new age e easy listening strumentale, il disco si chiude con il passo notturno e un po' fiabesco di L'ora del biscotto metafisico, caratterizzato da un'esplorazione tematica del pianoforte (ma lo sapete che si tratta di un brano improvvisato e dedicato a De Chirico?).
Da segnalare anche la cover di Church of Antrax di John Cale e Terry Riley (qui interpretati sotto una luce quasi californiana - Grateful Dead - e semifunkeggiante).
Intuitive Maps è un lavoro estremamente affascinante e, come tale, richiede una partecipazione impegnativa da parte dell'ascoltatore che, alla fine, verrà certamente ripagato dal non facile sforzo estetico.

© Riccardo Storti


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