La vivacità stilistica di Marbin
ha preso il largo su rotte sempre più schizofreniche. Quelle che si chiamano
contaminazioni di genere… Il quartetto di Chicago, che ha nei due solisti di
origini israeliane Dani Rabin (chitarra) e Danny Markovitch (sax) i propri
punti di forza, non finisce di stupire. Il loro ultimo CD riesce a mettere
d’accordo uno spirito jazz rock di altri tempi con retaggi popular
circoscrivibili alle radici klezmer. La chitarra di Rabin spazia da accenti
quasi crossover su scale jazzistiche, mentre le melodie dei fiati di Markovitch
arrivano a creare vere e proprie “canzoni” senza cantante.
The House of the Dead è l’emblema di come si possa partire da una
struttura jazzistica per accedere ad ariosità tematiche di sapore popolare e
orecchiabile; al tempo stesso, però, siamo sorpresi da sviluppi armonici per
nulla scontati. Questo spirito si percepisce benissimo in altri brani: Whiskey Chaser passa da accenti
malinconici ad una vera e propria mitragliata di note sul ritmo di un paso-doble
speed. Bello il tango elettrico di Goat
Man, così come l’esaltazione ritmica di Carnival.
Poi c’è l’altra anima, quella
maggiormente connessa alle diramazioni più bastarde di una fusion capace di
allontanarsi dalle origini: l’opener Buddha
Complex tinge di heavy trame alla
Mahavishnu Orchestra; con Money Train si ripercorrono le vie del
blues; Electric Zombieland e Escape
from Hippie Mountain giganteggiano a colpi di funk con Rabin tra Jimi
Hendrix e Joe Scofield e Markovitch a sfiorare vertici di calcolata
improvvisazione.
Un disco carico, con un tiro
eccezionale dall’inizio alla fine. Senza fiato. Continuate così, ragazzi.
(Riccardo Storti)
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