Tra il 2012 e il 2013 i Greenwall
rappresentarono un spettacolo live che univa il classico floydiano con una loro
suite (Il petalo di fiore). Non si
trattò solo di musica: lo show vedeva coinvolto anche un corpo di ballo ed
erano previste proiezioni.
Da qui l’idea di fissare anche su
disco questa importante esperienza, riprendendo proprio il titolo della
performance, appunto, The Green Side of
the Moon.
E come ne escono i Pink Floyd
dalla reinterpretazione di Pavoni e C.? Intanto, sarebbe più corretto parlare
di una rilettura, in quanto i Greenwall, tenute ferme le coordinate melodiche e
armoniche dell’originale (nonché, ovviamente, i testi), hanno ridipinto il
disegno di partenza con colori più legati alle loro ascendenze prog e hanno
ristrutturato i pattern ritmici con inevitabili varianti stilistiche verso
altri generi. Un’operazione assai raffinata, per nulla velleitaria e, comunque,
non così dissacrante come si potrebbe immaginare, benché non manchino episodi
di intelligente straniamento.
Breathe giunge in sordina, come una sorta di ouverture acustica, ci
fa entrare nel disco in punta di piedi, ma è in Time che si scorgono le prime novità più sensibili: l’evergreen
muta fisionomia, trasformandosi, dopo la consistente introduzione orchestrale,
in un vaudeville dal tempo staccato; il celebre assolo di chitarra viene
abolito e sostituito da un beffardo Moog e dal sax.
The Great Gig in The Sky allarga i propri confini, espandendosi a
macchia d’olio nella generazione di episodi figli della cellula primigenia:
all’inizio una reprise sommessa (anzi sommersa) del ritornello di Time, quindi gli archi sintetici di
Pavoni modulano l’armonia di Wright per The
Great Gig in The Sky per la voce dei sax (prima tenore, poi soprano) di
Alessandro Tomei.
L’originario blues di Money si trasforma in un seducente
swing, reso ancora più avvincente dall’intenso trasporto black della voce di
Michela Botti e dalla fedeltà solistica della chitarra di Riccardo Sandri. Us and Them muove i primi passi da un
impianto fusion progressive, tanto che la melodia del brano è suonata dal Moog;
alla fine, però, la versione dei Greenwall non si discosta moltissimo
dall’originale, se non fosse per il gioco di sovrapposizioni vocali, gradevoli
ma che potevano essere curate meglio. Sbalzi reggae connotano una vibrante Any Colour You Like, mentre On the Run si butta in un indiavolato calderone
latin rock alla Santana.
Dal baccanale sonico emerge in
lentissimo crescendo Brain Damage,
che, in questa versione, recupera e incrementa ulteriormente la nuance onirica
dell’originale (geniale il collage ironico con estratti dalla trasmissione Porta a porta e dal film Ricordati di me) per accompagnarci nel
gran finale di Eclipse. Il Cd si
chiude con Prelude to Rick, un breve
omaggio di Andrea Pavoni a Richard Wright: armonie da aria barocco e sax jazzy
per un toccante “tombeau” ad uno dei padri del capolavoro. (fine seconda parte)
(Riccardo Storti)
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