Lo scorso 15 novembre 2017 ci ha lasciato Luis Enriquez Bacalov. La notizia
ha subito fatto il giro del mondo attraverso i social; più di un artista ha
lasciato testimonianze di affetto nei confronti di un uomo che ha dato molto
alla cultura musicale italiana, pur non essendo italiano. Pensiamo solo alla
lunghissima gavetta da arrangiatore, orchestratore e compositore in quelle
fucine vulcaniche che erano gli studi della RCA di Roma e della Fonit Cetra di Milano.
Lì nascevano la musica leggera italiana, le sonorizzazioni d'ambiente e le
colonne sonore: artigianato allo stato puro, grande professionalità, intuizioni
sull'immediato e produzioni rispettose di un target sempre più ampio. Bacalov
arriva in Italia nel 1959 ed è arruolato subito: firma gli arrangiamenti per alcuni
successi di Nico Fidenco (Legata ad un
granello di sale), Rita Pavone (La
partita di pallone, Il ballo del
mattone...) e Lucio Dalla (Il cielo);
si dedica al cinema coadiuvando Pasolini nella scelta delle musiche per Il Vangelo secondo Matteo ma vergando
anche OST per pellicole che vanno dagli Spaghetti Western all'horror, dal film
impegnato alla commedia. L'apice che tutti conoscono è certamente l'Oscar ottenuto
per Il postino di Troisi.
Noi appassionati di prog, però, lo ricordiamo soprattutto per essere stato
il demiurgo di un'idea tutta italiana di "concerto per gruppo rock e
orchestra". Con Bacalov alcuni gruppi ricevono il battesimo ufficiale nel
mondo del neonato prog tricolore. Penso ai New
Trolls: già agli inizi del 1971 con La
prima goccia bagna il viso si erano lanciati parecchio verso territori meno
tradizionali e, in quanto a contaminazioni orchestrali, erano già stati
iniziati da Gian Piero Reverberi nel 1968 con Senza Orario Senza Bandiera. Grazie a Concerto Grosso per i New Trolls si arriva al completamento di un
percorso che determinerà un profilo prog tale da condizionare per sempre il DNA
della band genovese. E non è affatto un caso se, dopo la pausa mid-70's e i
vari spin-off, i New Trolls ritorneranno in auge nel 1976 proprio con Bacalov
in regia, intento a rifocillare la partitura del Concerto Grosso n. 2.
Osanna. Il pretesto, anche qui, come per il Concerto
Grosso, è una colonna sonora: il poliziottesco Milano Calibro 9. Per l'occasione Bacalov lavora con le ultime
intuizioni di un altro giovane complesso, appunto, i napoletani Osanna, reduci
dall'esordio avvenuto nel 1971 con L'uomo.
Sovente, quando si parla di Milano
Calibro 9 (il titolo originale dell'album è Preludio, Tema, Variazioni e Canzona), tendiamo a considerare
l'opera come un prodotto minore dell'ensemble, forse per quella posizione
intermedia tra lo spontaneismo verace degli inizi (tra blues e prog) e l'assoluto
vertice di Palepoli. Si scomoda il
termine di "transizione"; eppure, a detta degli stessi protagonisti,
l'esperienza con Bacalov avrebbe aperto ulteriormente la mente compositiva di
Vairetti e soci. Insomma, Palepoli
non sarebbe stata tale se, prima, non fosse arrivato Bacalov: il compositore
argentino è stato per gli Osanna un segno e un segnale evolutivo fondamentale
per il loro percorso artistico.
E poi c'è l'ultimo episodio della trilogia, non una colonna sonora, ma un
concept a soggetto: Contaminazione
del Rovescio della Medaglia. Alcuni lo ritengono il capolavoro assoluto del
gruppo romano, ma va detto che è qualcosa di molto lontano, rispetto agli inizi
hard de La Bibbia e di Io come io. Se là prevalevano la
chitarra di Enzo Vita, una sezione ritmica rutilante e la voce heavy di Pino
Ballarini, in Contaminazione si
aggiunge un'ampia orchestra, trame bachiane e, non ultimo, il tastierismo
ipercinetico della new entry Franco Di Sabatino (già con Il Paese dei
Balocchi). Qui Bacalov si sbizzarisce al massimo, conferendo al Rovescio un
aplomb classicheggiante ma che non snatura l'impianto iniziale più
"duro", anzi, alla fine, lo valorizza e lo conduce alla massima
potenza. Abilità che solo un grande compositore può vantare e che ha è stato
quintessenziale per l'evoluzione del genere, proprio perché quando il prog in
Italia stava nascendo, lui c'era. E con la bacchetta in mano. (Riccardo Storti)
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