Un pianoforte apre il gioco con
una sequenza ripetitiva e ossessiva in 7/8 a cui fa da contorno un tappeto
distorto di bicordi elettrici, sommati ad un tenue crescendo percussivo. Altro
che il solito disco di fusion: qui si parte da una strana terra di confine tra
minimalismo e postrock.
Si presenta così la prima traccia
(Al Aire/Soko Bira) del nuovo lavoro del chitarrista serbo Dusan Jevtovic che, per questa recente uscita, si è
avvalso di due adeguati compagni di strada. Alle tastiere il serbo Vasil
Hadzimanov (recensii circa un anno fa il suo ottimo Alive) e alla batteria l’israeliano Asaf Sarkis (curriculum
partecipativo da paura, citiamo solo Mauro Pagani e la Soft Machine Legacy).
Dato un occhio alla line-up, ci
si rende subito conto che manchi un bassista. Si tratta di una scelta che
definisce la meglio le possibili ricadute interpretative dei brani attraverso
un preciso interplay tra i musicisti con esiti coloristici particolari. Le
parti di basso, quando necessarie a solidificare l’impianto ritmico, sono
affidate al Moog di Hadzimanov; in altri casi, pur nel range specificatamente
jazzistico, il resto è affidato ad un gioco di atmosfere che, pur essendo
fissate intorno all’input melodico della chitarra, si dipanano attraverso
perturbazioni sonore offerte dall’effettistica, dal contributo anche idiofono
di Sirkis e dalla vivacità contrappuntistica e improvvisativa del pianoforte
(acustico o elettrico) di Hadzimanov (da non perdere la coda di Yo Sin Min. il solo quasi atonale di El Oro e i passaggi vintage al Fender
Rhodes in Frusci, A Ver, Lifetime).
Altra caratteristica: il disco è
stato registrato in presa diretta, pertanto non vi sono sovraincisioni. Un live
in studio che, alla fine, è valorizzato proprio dal fatto che quanto si ascolta
è frutto di un’intercettazione creativa irripetibile, almeno per quei dettagli
interpretativi che, per fortuna, sfuggono alla programmazione esecutiva di
base.
No Answer è un CD camaleontico, capace di mostrare, brano dopo
brano, percorsi stilistici assai diversi tra loro. Scorrendo la playlist, si
finisce per entrare in tunnel di continui richiami: il chitarrismo metamorfico
di Jevtovic dà gran prova di sé in Frusci,
veleggiando da McLaughlin, Stern ed Hendrix; Yo Sin Mi
si avvale dell’insegnamento di Metheny ma in una suggestiva aura musicale non
scevra di legami ambient; in A Ver il noise si confronta con gli
umori elettrici del Davis di Bitches Brew;
Lifetime ha il passo dello
strumentale British Blues fine anni Sessanta macchiato da dissonanze anarchiche;
in Prayer la chitarra imita melismi
orientali di fattura arabeggiante ma è sostenuta da un dettato pianistico tra
Bartók e Bill Evans;
le note di El Oro sono una
combinazione tra be-bop, contrasti crimsoniani e folk balcanico; una
stranissima fusion – a tratti - darkeggiante si trova a flirtare con stimoli
provenienti dalla musica contemporanea in The
Place with a View.
Si può dir tutto (ad averne
proprio voglia), ma non ci si annoia affatto, anzi… (Riccardo Storti)
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