domenica 1 aprile 2018

L'irripetibile stagione della Phase 4 Stereo della Decca

Insegnare all'Università della Terza Età è un vero toccasana per chi non voglia annoiarsi. È dal 1996 che sono docente di Storia della Musica; se ci penso... non avevo ancora trent'anni e mi buttai a capofitto perché ritenere giusto mettere a disposizione degli altri quel poco che sapevo e sempre con passione.
Ma se c'è passione, c'è anche curiosità. E di corsi ne ho tenuto (siamo al ventiduesimo).
Quest'anno sono usciti gli anni Sessanta.
A pensarci fa quasi ridere, ma è nell'evoluzione delle cose. Lo scorso anno accademico, a febbraio, avevo già presentato il nuovo corso, quando, durante una lezione, trattando la colonna sonora, parte un riferimento con gli stili orchestrali degli anni Sessanta e i rapporti con la canzone. "Eh, su questo argomento ci si potrebbe fare un corso" aggiungo. Più di uno studente mostra subito complicità e la voce quasi unanime non esita a farsi sentire: "Beh, prof., scusi, ma chi ce lo vieta? Non potremmo affrontare questo argomento il prossimo anno?" Esatto. Viva la libertà (citando Lauzi che cade sempre a fagiolo). E così mi sono messo dietro a quest'avventura complessa, complicata ma appassionante al massimo. Perché non saranno solo canzonette ma anche incisioni storiche, jazz, esperimenti, rock metamorfico, "musica colta" e colonne sonore.
Ultimamente mi sono buttato sul filone della musica d'ambiente. No, non intendo l'ambiente, bensì quella musica utile per le varie sonorizzazioni ambientali e sono finito nel prezioso bacino di quella mitica avventura della Decca nota come Stereo Phase 4. Per ripercorrere la storia della sottoetichetta, vi invito a scorrere le pagine al seguente link.
In realtà si trattava di una conoscenza nota perché, quando ero bimbetto, ricordo benissimo certi vinili paterni contraddistinti da quel "4" gigantesco sulla copertina. Roba per audiofili e sulla scorta di un propulsore divulgativo niente male.
Ecco, allora mi sembra bello fare ai miei lettori qualche piccolo regalo di Pasqua virtuale, capace di offrirvi un po' di buona musica con qualche consiglio ad hoc. Tre dischi, secondo me, rappresentativi. (Riccardo Storti)

Stanley Black - Russia (1965)

Questo compositore e arrangiatore d'orchestra conta oltre 200 registrazioni con la Decca. Segnalo Russia perché è uno dei primi che ho ascoltato e che mi ha consentito di entrare in confidenza con la musica (popolare e colta) di questa nazione. Le riscritture delle melodie popolari sono di un nitore e di un'attenzione al dettaglio unici. Stupendo il finale tratto da Quadri per un'esposizione di Musorgskij con l'immancabile dittico La Capanna di Babba Yaga e La grande porta di Kiev.





Ray Martin - The Sound of Sight (1965)

Musiche per "fake movies", possibili colonne sonore. Ogni traccia un genere e mille opportunità. Una volta indossate le cuffie, dobbiamo solo chiudere gli occhi, scrutare acusticamente nei canali e guardare il film nella nostra mente. Sorprese citazionali a non finire (soprattutto nell'opener Overture to End All Overtures), giochi ambientali infiniti tra vecchio West (Westorama) e spazi extraterrestri (Destination Space). Si scorrono microfilm tra peplum (Egyptian Epic), noir (Hoodunnit) e disegni animati (Cartoonik). Più che un ascolto, un'esperienza (da provare).




Robert Sharples - Tchaikovsky in Phase 4 (1963)

Sharples, alla testa della London Festival Orchestra, dà il meglio di sé soprattutto con l'Ouverture 1812, composizione dalle indubbie qualità spettacolari; e il lavoro al mixer non fa che valorizzare ulteriormente la partitura ben domata dal direttore d'orchestra e corroborata dalla Banda dei Granatieri e dagli immancabili colpi di cannone. 


Nessun commento:

Posta un commento