L’efficace copertina comunica un
senso di ritorno a casa. Una casa di legno e una vecchia vettura che noi
italiani potremmo confondere con una Fiat 600; in verità si tratta Zastava di
produzione jugoslava, anche perché la foto è di un fotografo serbo, Ivan
Arsenijević. Come
di origine serba è Dušan Jevtović, che, in uno
dei suoi ritorni, ha deciso di dare un concerto a fine dicembre del 2016,
presso gli spazi del Decije Pozorište
della natia Kragujevac. Il
chitarrista slavo era accompagnato dall’ottimo Vasil Hadžimanov alle tastiere (già
presente in No
Answer e artefice del bellissimo album Alive per Moonjune che recensii qualche anno fa), nonché dalla
sezione ritmica formata da Pera Krstajić al basso e Pedja Milutinović.
La scaletta della performance prevedeva brani di Jevtović (in parte tratti da No Answer) più due composizioni di
Hadžimanov; l’impianto jazzistico, come è naturale, ha incoraggiato felici
sforamenti in direzione di improvvisazioni chitarristiche e pianistiche dei due
che, anche in questa sede, hanno confermato complicità e affiatamento.
Uno dei momenti più piacevoli e orecchiabili va scorto nella
soft fusion, quasi carioca, di New Pop
dove, su una tessitura armonica leggera, si possono apprezzare gli interventi
solistici di Jevtović,
Hadžimanov e addirittura del bassista Milutinović, mentre il batterista
Krstajić garantiva un 4/4 tanto squadrato e gregario, quanto necessario e
sicuro.
Il carnet di Jevtović colpisce per varietà: si va dalle tinte canterburiane di No Answer, ai retaggi folk di Babe (secondo, però, una declinazione
crimosoniana) e di Al Aire-Soko Bira,
fino alla sperimentazione (anche) elettronica di Angel e Gracias y
perdon/Outro.
Suggestive anche le partiture di Hadžimanov: Ohrid è un evidente omaggio alla
Macedonia (terra in cui nacque la madre), sviluppato su una breve melodia da
cui nasce il dialogo tra chitarra e piano elettrico su un sensazionale gioco di
crescendo e suggestivo interplay; Briga
è un blues balcanico dalle imprevedibili variazioni dinamiche, foriere di
atmosfere jazz rock tra Miles Davis, Soft Machine e Nucleus. In tale frangente
la chitarra di Jevtović
raggiunge degna distinzione grazie a brillanti operazioni destabilizzanti,
caratterizzate da distorsioni e dissonanze con il solito stile assai ecclettico
(McLaughlin, Stern, Fripp, Howe, Etheridge e Di Meola).
Live at Home fissa un bel momento di buona
musica, nonché di empatia tra strumentisti assai preparati non solo con la
testa e con le dita, ma anche con il cuore. Questa è gente che ha confidenza
con la qualità, per cui è abbastanza normale che un disco simile sia una
soddisfazione non solo per chi lo ha inciso, ma pure per chi lo ascolta.
(Riccardo Storti)
Nessun commento:
Posta un commento