Raccontare una delle vicende più
controverse della cronaca italiana e farlo attraverso un disco. Nemmeno un
concept album, ad essere onesti. La band ligure va ben oltre e propone, nel
campo della discografia rock, una nuova forma espressiva: lo potremmo chiamare
“docu-musical”? Perché Il mostro di
Firenze, grazie all’ampio utilizzo di rumori ambientali (valga su tutti
l’inquietante chiusa di Plenilunio),
deve molto ad un’idea quasi cinematografica del plot; ma non mancano elementi
teatrali prossimi al radiodramma, benché le parti declamate siano ridotte al
minimo. Eppure i testi, dotati di una buona capacità di trasfigurazione lirica,
ci tuffano più nella cronaca nera che non nella “poesia”, in un’immersione
sonora in forte debito con certe colonne sonore di sceneggiati anni Settanta. Tale
appunto non vuole essere affatto casuale, se pensiamo che Una Stagione
all’Inferno mosse i primi passi a fine anni Novanta con La ballata di Carini, ispirato alla notissima fiction L’amaro caso della Baronessa di Carini.
Il marcatore hard, fuso ad una
sensibilità per i suoni cupi e darkeggianti, è il tessuto connettivo che tiene
allacciati tutti i brani del disco, dove, però, non manca una componente
progressive di estrazione italiana riconducibile ai Goblin (Novilunio, Interludio macabro e Il
Dottore), al Balletto di Bronzo (Nella
notte) e al Banco del Mutuo Soccorso (le parti tastieristiche della Lettera anonima). La stessa sensibilità
heavy trova mediazioni particolari in tracce come Serial Killer Rock: ci sono i Black Sabbath e il doom metal, ma
certe rasoiate di sintetizzore avvicinano l’ensemble agli Hawkwind.
I brani più interessanti, nelle
composizioni più lente, quali La ballata
di Firenze e L’enigma dei dannati,
in cui il gruppo si apre maggiormente a soluzioni “sinfoniche”, contraddistinte
dall’intervento degli archi, oltre che dal lavorio tematico degli altri
strumenti.
L’idea dell’album nacque già nel
2011 a due dei componenti originari (Fabio Nicolazzo e Laura Menighetti,
entrambi vocalist e, rispettivamente, chitarrista e tastierista) che decisero
di cementare il proposito intorno a svariati musicisti, oggi in line-up ed
esecutori materiali dei brani insieme al duo. Si tratta di nomi noti
nell’ambiente hard e prog: Roberto Tiranti al basso, Marco Biggi alla batteria,
Pier Gonella alla chitarra, Paolo Firpo al sax soprano e il trio d’archi
composto da Kim Schiffo, Daniele Guerci e Laura Sillitti. Una garanzia di
qualità che ha contribuito ad elevare un livello di partenza già buono e
maturato nel corso degli anni.
(Riccardo Storti)
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