Alchem è un progetto musicale
capitolino avviato dal chitarrista Pierpaolo Capuano, dalla vocalist Annalisa
Belli e dal bassista Luca Minotti. Hai voglia ad etichettarli… e questo è un
bene, ma il crinale stilistico è a cavallo tra l’hard rock contemporaneo e il
progressive rock anni Settanta.
Centrale l’apporto della cantante
Annalisa Belli: un timbro dai tratti evocativi ed eterei, che si duplica e si
sdoppia, avvalendosi di non poche sovraincisioni polifoniche, ma che sa anche
quando è il caso di ricercare la giusta melodia con passo elegante (ascoltare I Don’t Belong Here, Fragments of Stars e Butterflies Are Singing). Una singer
dalle radici solide e intelligenti che vanno da Kate Bush a Jenny Sorrenti, da Tori
Amos a Sophya Baccini. Peccato che non vi siano i testi delle canzoni nel
libretto interno, perché sarebbe stato interessante entrare anche nelle
liriche, scritte dalla Belli che, oltre ad essere cantante e songwriter, si è
pure cimentata come narratrice (La
canzone del vento).
A scurire il panneggio
atmosferico dei brani, spesso costruiti su pattern ritmici ben definiti (c’è
una predilezione per il metro ternario), una serie di perturbazioni dark metal,
sensibili, però, avarianti dinamiche non del tutto scontate (Spirits on the Air, Il canto delle sirene e Armor
of Ice).
Peccato la penuria di mezzi che,
talvolta, costringe il trio a tessere eventuali parti “orchestrali” con
l’ausilio sintetico della programmazione digitale: ne sono testimonianza
l’opener Behind the Door e la ballad I Don’t Belong Here che avrebbero avuto esiti
ben diversi, se certe parti fossero state affidate a strumenti a fiato o ad
arco. Tale dettaglio, comunque, depone a favore del lavoro compositivo degli
Alchem, mettendo in luce pregevoli intuizioni. Idem per In My Breath, dove gli Alchem ci conducono ai confini del
progressive, coadiuvati dal basso fretless di Diego Banchero (Il Segno del
Comando) e dal violino di Antonio Cozza (Emian Pagan Folk).
I collegamenti con il progressive
rock sono comunque tutt’altro che
secondari: li scorgiamo nell’incipit in 7/8 e nelle suggestioni organistiche
bachiane della title track, nelle diverse ballate che ingentiliscono l’album,
nonché nell’ecclettismo della conclusiva Pioggia
d’agosto (uno strano mix che mette d’accordo Dream Theather, Strawbs,
Goblin, Saint Just e Renaissance).
Viaggio al centro della terra è un’opera che non nasconde una
notevole ricchezza di fondo ma che, per alcuni dettagli (rilevati anche in
questa analisi), resta ancora, se non dormiente, in potenza. Un primo passo di
buona qualità che lascia presagire (e, soprattutto, sperare) una continuità in
ascesa.
Il CD è distribuito da Black Widow Records,
Maculata Anima Records e Hellbones Records.
(Riccardo Storti)
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