Il Ballo delle Castagne è una
band dell’underground genovese molto atipica. Nata nel 2007 da un’idea del
cantante e paroliere Vinz Aquarian e del musicista Marco Garegnani, l’entità –
a cui si aggregarono presto altri componenti (Diego Banchero al basso e Jo Jo
alla batteria) – sfornò due CD (Kalachakra
nel 2010 e Surpassing All Other Kings
nel 2012) che ben esemplificano il melange stilistico della loro creatività
sonora, in bilico tra psichedelia, hard rock e new wave.
Proprio durante la lavorazione
dei due lavori citati, Vinz e Garegnani misero da parte diverse tracce che, nel
2015, con un’opera di revisione, divennero il contenuto ideale per una “colonna
sonora di un inedito film di Herzog” (per l'album, cliccate
qui).
Si tratta di 7 composizioni,
sviluppate sul ponte tra Oriente e Occidente, gettato dalle primordiali
passioni itineranti dell’ensemble, che non ha mai nascosto un equo interesse
sia per la musica del Medio Oriente, sia per il kraut rock. In realtà, ad
un’analisi più approfondita dei brani, ci accorgiamo che il range si ampia,
anche sul piano dei contenuti, visto i riferimenti diretti a culture mistiche
non univoche.
L’opener In the Garden of Popol Vuh suona come un esplicito omaggio al
gruppo tedesco che compose diverse colonne sonore per Werner Herzog: certo, i
Popol Vuh acustici e magici di In den
Gärten Pharaos ma la multiforme atmosfera generale lascia emergere
campionature gregoriane ed effetti ambientali del Battiato de I cancelli della memoria e L’Egitto prima delle sabbie (riferito
alle ossessive scale in glissando reiterate da uno strumento a tastiera).
L’Oriente ha tratti space in Lentus in umbra, dove lo spettro
variegato dei cordofoni in azione (si distinguono chitarre, sitar e, forse, un
salterio turco – un kanun? – e un bouzouky) si amalgama alle tessiture dei
sintetizzatori e alla tradotta metrica delle percussioni; senza dubbio la track
più orecchiabile di tutto il disco, insieme a Profumi d’Oriente (quando il rebetiko incontra il mellotron).
Il pianto di Cristo su Gerusalemme e Sicut in caelo raccontano, in maniera assai trasfigurata, alcuni
episodi tratti dai Vangeli. La prima composizione veleggia tra musica
contemporanea, psichedelia, progressive e kraut rock: i richiami potrebbero
essere molteplici dai Popol Vuh al Battiato di Pollution, dagli U.T.O. ai Pink Floyd, dai Magma al Balletto di
Bronzo. È l’unico brano del
disco che prevede l’intervento della line-up a quattro (Vinz Aquarian,
Garegnani, Banchero, Jo Jo) più una vocalist (Maethelya); per il resto,
l’esecuzione è affidata ai due fondatori (eccetto per Profumi d’Oriente dove c’è la chitarra di Roberto Lucanato, attuale
chitarrista, e solo la voce di Vinz).
In Sicut in caelo prevale una sequenza pianistica in 6/4 che
accompagna, all’inizio, la declamazione di Vinz, per poi evolversi in
un’improvvisazione sul tempo di 6/8; sullo sfondo alcune pennellate di
sintetizzatore valorizzano ulteriormente questa pagina memore di Philip Glass e
del Battiato de Il mercato degli dei.
Struttura musicale non dissimile
che ritroviamo in Il sole muore:
Garegnani, prima all’organo poi al pianoforte, produce una melodia di 4 battute
su 5 accordi, sulla quale si innesta la declamazione di Vinz Aquarian e,
successivamente, un solo di chitarra dall’impasto gilmouriano, ma, che, in
sintonia con il mood “avantgarde” del CD, si suiciderà in una barbara selva di
modulazioni dissonanti.
Finale ad anello: 6:35 Minuten vor dem Ende der Zeit
Explodiert die Erde si riprende il clima dell’inizio; Garegnani si avvale
di campionature e sintetizzatori, mentre nel background si avvertono voci in
movimento. L’Oriente è esemplificato da una melopea di flauto e dagli arpeggi
ipercinetici di un cordofono lontano nello spazio e nel tempo; l’Occidente sono
i suoni sintetici e l’eco distante di un soprano wagneriano. Titolo
apocalittico, ma noi non ci fidiamo; d’altra parte cosa si dice in un verso de Il sole muore? “Eterna è la musica/ che
con noi non finisce.”
(Riccardo Storti)
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