Interessante la carriera musicale
di Paolo Baltaro. Partito con il prog degli Arcansiel e giunto ad esperienze
collaterali dal sapore sperimentale (cito solo i S.A.D.O.), oggi vive a Londra
e fa della buona musica. Non che prima non ne facesse, anzi… ma, da quando
Baltaro si è dedicato alla produzione solista, il suo particolarissimo stile
(figlio e nipote di mille stili) si sta definendo sempre di più secondo una
linearità creativa eclettica, matura e al passo con i tempi.
Molti noi, appassionati di prog,
si limitano spesso ad inquadrarlo come bassista e cantante degli Arcansiel, ma
c’è molto di più nel suo ampio spettro di esperienze che vanno dal pop al punk,
attraverso la musica d’occasione estemporanea e no (tra cui il “lisciometal”).
Quale migliore occasione per fissare
il proprio arcobaleno sonoro (l’arcansiel
che torna) in un album che racconti una finzione? Infatti il sottotitolo di
questo lavoro presenta un’indubbia dicitura: “Original Soundtrack for Imaginary
Movies”. Tutti possibili “commenti musicali” per ipotetici film (tranne uno,
l’opener Do It Again, dimostrazione
che Baltaro si sia realmente cimentato nella scrittura della colonna sonora).
Come è ovvio, il compositore si è divertito un mondo ad inventare titoli di
possibili bizzarre pellicole (il thriller Rivers
of Wine), bislacchi musical (Midnight
in Porter), fiction serie tv (l’ “irreale sequel” della psycho-porn-science
fiction Low Fare Flight to the Heart)
e irriverenti docufilm (Syd Barrett Goes
Bananas).
Il disco scorre veloce e in
maniera estremamente piacevole, in quanto si presenta come una sorta di trasversale
galleria tra generi; Baltaro si muove con passo raffinato ma senza eccedere in
tentazioni manieristiche, semmai sfruttando quella vis dissacratoria che ne ha
contraddistinto alcuni episodi discografici del passato (tanto i S.A.D.O.,
quanto La Sorella Maldestra).
Traccia dopo traccia, la
prospettiva caleidoscopica di Baltaro si allarga e si restringe attraverso un
itinerario ricco di sorprese: si toccano delicatezze britpop di classe (le due
versioni di Do It Again e Postcard from Hell), strane confluenze
tra scritture zappiane e cori degni degli Yes (Cole Porter and Frankz’s Birthday Party… occhio: è il vertice del
disco), il Beatles revival anni Novanta alla Tears for Fears (Silent Song), incipit chitarristici in
sordina alla Dire Straits (Goodnight),
psichedelia chantant prog (Bike,
cover di Barrett) e mosse funky hendrixiane aperte a spazi improvvisativi davisiani
(ecco come stravolge It’s All Right With
Me di Cole Porter). Azzeccato il piccolo omaggio alla tape music dei
Beatles d’avanguardia nella ghost track Revolution
n. 13-11.
Anche la voce di Baltaro ha una
grana che ben si allinea con la forza comunicativa di alcune canzoni: ricorda
quella di Brian Adams, ma, se i toni della dinamica si alzano, si avvicina,
nell’acuto, addirittura al piglio canoro di un Steve Tyler (tale sviluppo
evolutivo, all’interno di una song, si può notare nella rockeggianti Another Sunny Day, Nowhere Street Part II e Pills).
Baltaro non si ferma. Lo scorso
settembre ha pubblicato il suo primo album dal vivo, Live Pillheads, registrato a Vercelli il 2 febbraio 2018; un altro
stimolante documento che, anche alla luce dell’ascolto di The Days After the Night Before, merita un approfondimento da cui –
come è mia natura – non mi sottraggo. Ne parleremo prossimamente.
(Riccardo Storti)
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